Covid-19, quando un cessate il fuoco può riaccendere la speranza
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Un primo passo coraggioso per un futuro di pace. Questo l'auspicio del Papa verso la richiesta di un cessate il fuoco globale, contenuta nella risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Parole, quelle di Francesco, pronunciate più volte dall'inizio della pandemia e sostenute con forza anche prima dell'emergenza legata al nuovo coronavirus. Ieri, al termine dell'Angelus, il Papa ha lodato la richiesta dell'Onu auspicando che si arrivi presto a fornire l'assistenza necessaria a quei Paesi colpiti dalla pandemia, ma già teatro di guerra e conflitti.
Le armi non si fermano
Anche dinanzi ad un'emergenza globale, che non conosce confini e capace di provocare dissesti economici senza precedenti nel secondo dopoguerra, le armi non si sono fermate. Dal continente africano al Medio Oriente, sono numerosi i territori in cui popolazioni stremate da annosi conflitti si trovano a dover fronteggiare la minaccia pandemica in una situazione a dir poco precaria. La carenza di farmaci, la situazione deficitaria delle strutture sanitarie, la mancanza di acqua e cibo fa sì che il nuovo coronavirus sia un'emergenza nell'emergenza. Nell'antichità le guerre si fermavano alla vigilia dei Giochi olimpici. Nel 2020 la pandemia ha portato al rinvio di questi ultimi, ma non è riuscita a far cessare i conflitti. Come è possibile tutto questo?
Una grande ipocrisia
“Le guerre non avvengono mai, purtroppo, senza motivo e le ragioni sono sempre le stesse: il controllo del territorio e delle sue risorse”. Lo afferma nell'intervista a Vatican News Maurizio Simoncelli, cofondatore di Archivio Disarmo.
“Pensiamo a quanto accaduto in Libia, dove il voler portare la pace ha dato via ad un conflitto internazionale ancora in corso”, sottolinea Simoncelli, citando poi altri esempi, tra i quali “gli interessi nel Golfo Persico, quelli in Siria, dove - aggiunge - tutti forniscono armi e munizioni, altrimenti la guerra non potrebbe durare anni”. C'è, per il professore universitario esperto di disarmo, un'ipocrisia di fondo enorme, in base alla quale anche quegli Stati che chiedono un cessate il fuoco, finisco poi per esportare armamenti. “Applaudono alle parole del Papa - prosegue -, ma non si comportano in modo coerente”. Infine una riflessione sulla pandemia: “Ci ha insegnato che per aiutare le persone non si devono fare guerre, ma investire in Sanità ed Istruzione”.
Dall'Africa al Medio Oriente
I vescovi del Camerun e della Repubblica Centrafricana hanno denunciato lo scorso mese il proseguo delle ostilità nei due Paesi africani. Situazione analoga in Nigeria. “Siamo ancora in balia degli sporadici attacchi terroristici di Boko Haram, in particolare nel nord del Paese”, ha spiegato monsignor Ignatius Ayu Kaigama, arcivescovo di Abuja, sottolineando come il coronavirus metta in ginocchio soprattutto la fascia più povera della popolazione. La situazione è difficile anche in Siria, così come nello Yemen, alle prese con la più grave crisi umanitaria a livello mondiale. Monsignor Paul Hinder, Vicario Apostolico dell'Arabia meridionale, richiama drammaticamente l'attenzione sulla distruzione delle strutture sanitarie nel Paese, in più del 50% dei casi, e sull'insicurezza che "rende difficile, a volte impossibili i trasporti". “Senza una tregua tra i partiti dei belligeranti, interni e esterni, tutte le operazioni umanitarie - afferma nella nostra intervista - resteranno almeno parzialmente paralizzate"
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui