L’instabilità segna gli anniversari dell’indipendenza di Congo Kinshasa e Somalia
Giada Aquilino - Città del Vaticano
"Profondo rammarico per le ferite" inflitte, durante il periodo coloniale, alla Repubblica Democratica del Congo, è stato espresso dal re Filippo del Belgio. In una lettera inviata al presidente Felix Tshisekedi, in occasione del 60 esimo anniversario dell’indipendenza del Paese africano, avvenuta il 30 giugno 1960, il monarca ha parlato degli “atti di violenza e crudeltà" commessi nell’ex Congo belga, scusandosi per "le sofferenze e le umiliazioni" subite dalla popolazione. Poche ore dopo, a Gand, un busto di Leopoldo II – che regnò tra il 1865 e il 1909 - è stato ritirato dall'esposizione pubblica, dopo che a inizio giugno a Bruxelles e ad Auderghem erano state imbrattate alcune statue dello stesso reale belga.
Il governo congolese
A Kinshasa, dove l’emergenza per la pandemia da Covid-19 ha limitato le commemorazioni pubbliche per i 60 anni d’indipendenza, il ministro degli Esteri, Marie Tumba Nzenza, ha letto le parole di re Filippo come un “balsamo per i cuori del popolo congolese” capace di generare una “svolta che rafforzerà le relazioni amichevoli” tra le due nazioni. Il presidente Tshisekedi ha invece celebrato l’anniversario ricordando come il governo sia ancora impegnato a “portare il Paese fuori dal circolo vizioso di instabilità e povertà”.
Dinamiche internazionali e colonialismo
Luciano Bozzo, docente di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Firenze, colloca questa nuova pagina dei rapporti tra Belgio e Repubblica Democratica del Congo anche nel contesto di quanto “sta accadendo negli Stati Uniti e altrove in Occidente a seguito dei disordini scatenati dopo la morte di George Floyd”. Quello del Congo Kinshasa, prosegue, è stato letto negli anni “come un esempio di colonialismo volto molto spesso allo sfruttamento delle risorse del Paese nonché degli abitanti”. Bozzo ricorda come, storicamente, in generale le responsabilità delle potenze coloniali non si fermino “soltanto al periodo del colonialismo inteso in senso stretto ma siano spesso proseguite anche in forma di neo colonialismo”, come “influenza economica, finanziaria, culturale e ovviamente politica”.
Le parole del cardinale Ambongo
La Repubblica Democratica del Congo, territorio ricco di risorse boschive e di diamanti, oro, coltan, dopo l'indipendenza è stato però attraversato da guerre, violenze, instabilità tutt’ora in corso. Lo ha sottolineato il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo metropolita di Kinshasa, presiedendo ieri una Liturgia della Parola. “Un rapido sguardo agli ultimi sessant'anni - ha evidenziato - dimostra che il grande sogno del popolo congolese è stato gradualmente infranto. Abbiamo visto - ha aggiunto - il susseguirsi di regimi autocratici arrivati al potere come i coloni, ovvero senza alcuna preoccupazione della volontà del popolo” che, ha rimarcato, a “60 anni dall’indipendenza continua ad impoverirsi sempre di più”, in un Paese percorso da tanti conflitti, dal Kivu e alla provincia di Tanganyca.
Le ricchezze africane
Per Luciano Bozzo, “la ragione fondamentale di questi continui conflitti è forse da individuare proprio nella specificità del territorio: il Congo è una terra ricca non soltanto di risorse naturali ma soprattutto minerarie, particolarmente utili per lo sviluppo di economie industriali e anche post-industriali”. A ciò, prosegue il docente, si aggiungono la “fragilità” del Paese, “l’eredità coloniale”, ma anche il fatto che “le elite interne hanno continuato a mettere in atto contro i propri concittadini” comportamenti e azioni contrassegnate dalla violenza.
La denuncia dell’Onu
L’Onu stima che negli ultimi sei mesi oltre un milione di persone siano state messe in fuga dalla violenza nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si dice "allarmato" dal crescente numero di attacchi da parte di gruppi armati contro civili sfollati. “I gruppi armati in Paesi come il Congo Kinshasa - evidenzia Bozzo - sono sempre stati al servizio di interessi esterni più che interni: interessi esterni di natura oggi essenzialmente economica e anche politica, in passato - negli anni della Guerra Fredda - di natura economica e politico-strategica. Purtroppo il continente africano, o almeno una sua parte, è stato a lungo e lo è tutt’ora il campo di battaglia, non necessariamente sempre violenta, in cui si apre il confronto tra le grandi potenze per l'acquisizione di posizioni strategiche da un lato e sull'altro per l'acquisizione delle risorse. Non dobbiamo dimenticare neppure quella ricchezza fondamentale rappresentata dal suolo coltivabile: è noto il fenomeno del cosiddetto land-grabbing, quindi potenze che acquistano e controllano grandi porzioni di territorio di Paesi africani per produrre beni di cui hanno necessità”.
L’emergenza in Somalia
In un quadro di instabilità, a celebrare l’anniversario dell’indipendenza è in queste ore anche la Somalia, che ricorda l'unione. avvenuta il 1° luglio 1960, del territorio della Somalia italiana a quello del Somaliland ex britannico, mentre la Somalia francese divenne nel 1977 lo Stato indipendente di Gibuti. La ricorrenza giunge quando la Commissione elettorale del Paese ha chiesto che le consultazioni parlamentari e presidenziali, previste rispettivamente a novembre 2020 e a febbraio 2021, siano rinviate ad agosto dell'anno prossimo, per mancanza di fondi, insicurezza, inondazioni in varie zone e a causa dell’emergenza coronavirus che ne ha rallentato la preparazione.
Uno Stato sulla carta, non nei fatti
“Purtroppo la Somalia - dice Luciano Bozzo - viene spesso indicata come un failed State, un Stato fallito, disintegratosi negli ultimi decenni, immediatamente dopo la fine della Guerra Fredda, in conseguenza di profonde e insanabili crisi interne e in conseguenza del fatto che questo Paese è stato creato con un processo di decolonizzazione che di fatto ha messo insieme porzioni di territori che erano sotto il dominio di diverse potenze. C’è poi da tenere presente l’estrema povertà del Paese. Tutto ciò fa si che la Somalia oggi esista come entità unitaria sulle carte geografiche ma non nella realtà dei fatti, perché è divisa in più tronconi a seconda appunto delle ex afferenze coloniali, ma anche a seconda dei clan che dominano le varie zone. In tale contesto si è innestato il fenomeno del terrorismo internazionale di matrice jihadista: il gruppo al Shabaab esercita un certo controllo sulla parte meridionale del Paese e contribuisce all’instabilità complessiva della Somalia”.
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