Ennio Morricone, Frisina: per il sacro aveva timore e rispetto
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
La capacità di cogliere in poche battute musicali l’essenza di un film, la contaminazione tra melodie colte e popolari e il grande rigore. Sono le qualità principali che mons. Marco Frisina, compositore e direttore del coro della Diocesi di Roma, riconosce al suo amico il maestro Ennio Morricone, scomparso a Roma il 6 luglio all’età di 91 anni. Frisina, oggi Rettore della Basilica di Santa Cecilia a Roma, aveva collaborato più volte con Morricone, come in occasione del Concerto per i poveri in Aula Paolo VI del 12 novembre 2016, a chiusura del Giubileo della Misericordia. Ecco come lo ha ricordato ai microfoni di Radio Vaticana Italia, a poche ore dalla notizia della sua scomparsa:
R.- Per noi tutti la morte di Morricone ha significato perdere un punto di riferimento importante. Noi musicisti e colleghi lo chiamavamo tutti solo con il nome di battesimo: Ennio. E questo fa capire come nonostante il suo rigore e il suo carattere, apparentemente un po’ burbero, fosse una persona di grande umanità, direi addirittura di grande dolcezza. Chi lo ha conosciuto bene, infatti, ricorda anche questi aspetti del suo carattere. La sensazione è quindi quella di aver perso un punto di riferimento musicale e io direi anche un amico, perché abbiamo fatto insieme alcune cose molto belle ed eravamo in contatto in maniera periodica, con un’intesa che chiamerei spirituale.
Il Presidente Mattarella ha parlato di Morricone come di “un musicista insieme raffinato e popolare che ha lasciato un'impronta profonda nella storia musicale del secondo Novecento”. Anche lei gli riconosce questa capacità di saper miscelare la grande cultura musicale con la tradizione popolare?
R.- Sì, questa è una delle chiavi del successo di Morricone. Lui aveva capito che la gente può riconoscersi nella qualità di una melodia, come di una canzone o di una colonna sonora. C'era un periodo in cui chi scriveva musica per le colonne sonore dei film era visto come un musicista di seconda categoria. Ma devo dire che sia Nino Rota che Morricone hanno dimostrato a tutti che la musica per il cinema può diventare grande musica. Lui ha sempre voluto esaltare anche la musica da film come musica d'autore. Ha saputo quindi mettere insieme i due aspetti: il popolare e il colto e così ha indicato una via importante alla nostra generazione.
Morricone, come musicista, che rapporto aveva con il sacro?
R.- Lui ha sempre voluto cimentarsi con l'aspetto del sacro. Ne aveva rispetto e direi addirittura quasi un poco di timore. Mi ricordo quando scrisse la musica per la Messa in onore di Papa Francesco che fu eseguita nella Chiesa del Gesù nel 2015: me ne parlava con entusiasmo come se fosse un punto di arrivo della sua carriera. Sicuramente nella sua opera, e lo si capisce anche delle musiche che scrisse per i film, basti ricordare quella per “The Mission”, il riferimento spirituale o addirittura esplicitamente religioso era ricorrente. Quella del divino era per lui una realtà con cui bisognava sempre fare i conti e andava sempre considerata come una vetta, come qualcosa a cui si aspira. Io ricordo la sua grande emozione quando abbiamo realizzato insieme il concerto per i poveri nel 2016 in Vaticano. Mi disse subito di sì, gratuitamente, quando lo invitai. E fu bellissimo perché poi si mise subito in sintonia con l'evento: si commosse, si emozionò. Lui si rendeva conto del grande valore che rappresentava partecipare a una proposta musicale così bella e così alta. Questo fa capire il suo rapporto con Dio.
Come compositore cosa apprezzava in particolare del talento Morricone, cosa “gli invidiava”?
R.- Tutti noi musicisti abbiamo invidiato la sua grande capacità di cogliere l'essenziale. Ossia, lui riusciva in una colonna sonora a cogliere l'anima del film e a esprimerla con qualcosa di essenziale, semplice, immediato. Questa era la sua firma straordinaria. Noi spesso ricordiamo non tanto un film quanto la sua musica per quel film e questo è molto significativo. Riusciva a riassumere l’efficacia del brano a cui lavorava in poche battute, in otto battute che diventavano fulminanti Questa è una grande capacità per un compositore. C’era poi la sua grande abilità di orchestratore, di elaboratore dei temi, che ha dimostrato anche arrangiando la musica di alcune canzoni di successo degli anni ’60. “Pinne, fucile ed occhiali”, “Se telefonando”: canzoni che rimangono impresse nella memoria collettiva proprio per la sua elaborazione.
Lei è anche insegnante: cosa direbbe ai suoi studenti per invitarli a seguire la lezione del maestro Morricone?
R.- Direi loro di mettersi alla scuola del rigore di Morricone. Lui era molto rigoroso, veniva da studi seri, da una tradizione che è arrivata a noi attraverso il Conservatorio di Santa Cecilia e gli insegnamenti di Goffredo Petrassi. Una tradizione che ci ha insegnato l’attenzione per la qualità massima della musica ma senza mai perdere di vista la comunicazione musicale e quindi anche la popolarità. Sempre però con il rigore, stando attenti a non lasciarsi andare mai alla faciloneria, a qualcosa di una qualità inferiore. Questo per lui era inammissibile, ce l’ha insegnato e mi piacerebbe trasmetterlo ai miei studenti.
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