Israele prende tempo sulle annessioni in Cisgiordania, i palestinesi si ritrovano uniti
Michele Raviart – Città del Vaticano
La possibile futura annessione ad Israele di alcuni insediamenti ebraici nei territori della Cisgiordania, prevista per i primi giorni di luglio, sarà rimandata. “Nei prossimi giorni ci saranno ulteriori discussioni” con gli Stati Uniti, ha fatto sapere l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’amministrazione Trump infatti aveva promosso a inizio anno - in quello che aveva definito “l’accordo del secolo” sul Medio Oriente - un piano di annessioni, presto diventato uno dei cardini della campagna elettorale prima e del programma del governo di coalizione “bianco e blu” tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz poi.
Gantz: priorità alla pandemia
Il piano governativo avrebbe dovuto essere presentato alla Knesset in questi giorni, come ribadito più volte dallo stesso Netanyahu nei mesi scorsi, ma il cambio della situazione politica dovuta anche alla pandemia di coronavirus, tanto negli Stati Uniti quanto in Israele, ha rallentato il progetto. “Tutto quello che non riguarda la battaglia contro il coronavirus dovrà aspettare”, ha affermato Benny Gantz, sostenuto dai sondaggi, che danno due terzi degli israeliani contrari all’annessione.
Le difficoltà di attuare il piano
“Questa idea di ritardare qualsiasi operazione sulla Cisgiordania e sulla Valle del Giordano ad un domani post pandemico la dice lunga sulla volontà di non andare in questo momento a urtare la sensibilità tanto della comunità internazionale quanto di buona parte degli israeliani”, spiega a Vatican News Nicola Pedde, direttore dell’institute of Global Studies di Roma. “C’è poi”, aggiunge, “la difficoltà tecnica di poter realizzare questa operazione tanto sul piano politico in sede parlamentare, quanto sul piano pratico”.
Una nuova fase per i palestinesi?
Da parte palestinese, intanto, è stata annunciata un’intesa “per rovesciare l’accordo del secolo promosso dagli Usa”, in una inedita conferenza a Ramallah che ha visto riuniti insieme non solo Al-Fatah e Hamas, ma anche la Lista Araba Unita, il terzo partito rappresentato alla Knesset ed espressione degli arabi israeliani che ha offerto il suo “sostegno della riconciliazione palestinese”. “Il momento attuale è il più pericoloso per il popolo palestinese”, ha ribadito Jibril Rajoub, segretario del Comitato centrale di Fatah e uno dei possibili successori di Abu Mazen, mentre il vice capo di Hamas – considerata un’organizzazione terroristica da buona parte della comunità internazionale – al Arouri, ha parlato di avviare una “nuova fase” a servizio del popolo palestinese.
La ricerca di una “coesione condivisa”
“Fatah e Hamas cercano di individuare un meccanismo di coesione condivisa, che consenta di trovare una formula unitaria sul piano quanto meno della narrativa”, sottolinea ancora Pedde. “Non ci sono ancora le condizione per poter dire che questo sia un nuovo sodalizio, ma è sicuramente un segnale molto importante, allarmante per il governo israeliano, e che lascia intendere la possibilità di una nuova ondata di violenza e di proteste”.
Le preoccupazioni e le speranze della Santa Sede
La speranza è che il passo indietro provvisorio del governo israeliano possa portare a una nuova fase dei negoziati. “Lo Stato d’Israele e lo Stato di Palestina hanno il diritto di esistere e di vivere in pace e sicurezza, dentro confini riconosciuti internazionalmente”, aveva infatti ricordato il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, agli ambasciatori di Stati Uniti e Israele presso la Santa Sede, facendo appello alle parti “affinché si adoperino a riaprire il cammino di un negoziato diretto”.
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