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Distruzioni della guerra in Yemen Distruzioni della guerra in Yemen 

Mai così tante armi in Medio Oriente dalla guerra mondiale

E' sempre più significativa la militarizzazione nell'area mediorientale e nell'Africa settentrionale da dieci anni a questa parte, tanto che si assiste attualmente alla maggiore proliferazione di armi mai registrata dalla fine del secondo conflitto mondiale. E' quanto emerso dal seminario di studio della Nato Foundation College svoltosi in questi giorni a Roma, insieme con la consapevolezza che la pace si costruisce attraverso impegni concreti. Con noi, i protagonisti del dibattito

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Dalla seconda guerra mondiale e in particolare dalla dissoluzione dell'Urss nel 1991, stiamo vivendo il momento più delicato per il futuro dell'area del Mediterraneo e dell'Unione europea”. E' la convinzione espressa da Youssef Cherif, vicedirettore del Columbia Global Centers, di Tunisi. 

Ascolta l'intervista con Youssef Cherif

Il moltiplicarsi delle armi in campo è parallelo al moltiplicarsi degli attori non statuali, cioè eserciti e milizie legate a personaggi non governativi, o a gruppi terroristici veri e propri, o a varie organizzazioni criminali, o al soldo di privati, precisamente di aziende da difendere. Tutto questo minaccia fortemente la stabilità della Regione, indebolisce l'azione multilaterale della comunità internazionale e soprattutto offre terreno fertile per l'espandersi di potenze regionali, al di là dei principi del diritto internazionale. Alla conferenza intitolata “Quale futuro per il Medio Oriente?”, alla quale hanno partecipato esponenti dell'Alleanza Atlantica e studiosi internazionali, si è parlato di sovranismo e di radicalismo come di due facce della stessa medaglia. Ne abbiamo parlato con lo studioso di Medio Oriente Gilles kepel, docente presso Atenei a Parigi e a Lugano:

Ascolta l'intervista con Gilles Kepel

Kepel spiega che “questo misto di islamismo politico, nazionalismo e dimensione militare rappresenta la vera sfida alla pace”. Aggiunge che è davvero difficile immaginare oggi come “ristrutturare un progetto di pace” parlando di “enormi difficoltà".  Ma poi sottolinea che la ricerca della pace può passare attraverso un impegno concreto sul campo e cita quello che definisce lo “straordinario esempio di un cristiano”: il lavoro dell'arcivescovo di Mosul, il padre domenicano Najib Mikhael Moussa. Kepel ricorda che grazie al suo impegno è stata salvata la Biblioteca di Mosul e soprattutto sottolinea la sua capacità di creare dialogo e di portare una parola e un gesto di pace.

L'area più complessa del mondo 

Condivide la delicatezza del momento Mitchel Belfer, presidente dell'Euro-Gulf Information Centre, che ha parlato delle “difficoltà di una Nato con rivalità al suo interno”, della distanza degli Stati Uniti - anche per le difficoltà economico-sanitarie legate alla pandemia, per la mancata auspicata autonomia in termini di approvvigionamento energetico da shale oil, per l'impegno della campagna elettorale – e di un'Europa impegnata sul fronte interno della crisi. In questo contesto, a consolidare il potere sono potenze regionali come la Turchia o internazionali come la Russia e la Cina che – è stato sottolineato – hanno leadership che rappresentano interlocutori stabili nel tempo. Del ruolo di Washington e Bruxelles, abbiamo parlato con l'ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, già Vice Segretario Generale della Nato e Presidente della Nato Defense College Foundation, che sottolinea però innanzitutto la complessità dell'area:

Ascolta l'intervista con Alessandro Minuto Rizzo

Secondo Minuto Rizzo, l'area mediorientale è “la più complessa del mondo”, sicuramente estremamente strategica, dove avvengono conflitti che “sono perfino più difficili da capire di quanti si registrano ad esempio in Africa”. L'ambasciatore spiega che per gli Stati Uniti il Mediterraneo non è una priorità e viene visto come un contesto chiave per l'Ue, mentre per quanto riguarda in particolare il Golfo, la penisola arabica, lì Washington ha forti interessi. Di fatto, Minuto Rizzo fotografa il progressivo allontanamento degli Stati Uniti dall'area, ricordando che in ogni caso l'unico interessamento corretto da parte di chiunque, dovrebbe essere espresso con lo spirito di cooperazione, perseguendo, piuttosto che grandi intenti, piccoli progetti per volta che creino fiducia.

Le prospettive per l'Alleanza

C'è attesa per il risultato delle presidenziali di novembre negli Stati Uniti, che chiarirà quale sarà la leadership a Washington e, dunque, le scelte statunitensi in tema di Nato. Il generale Giuseppe Morabito, membro del direttivo della Nato Foundation College, ci ha confermato che “le elezioni del 3 novembre dopo quattro anni di presidenza Trump sono un’incognita”, sottolineando che “i margini di manovra sono in linea con lo spirito del tempo”. Morabito ci ha spiegato che “se ci sarà un nuovo presidente, bisognerà vedere quale approccio avrà con la Cina e quale nei confronti degli alleati europei che continuano a ridurre le loro spese per la difesa”. In tutti i casi, “la libertà di azione della Nato dipende da quello che l’Alleanza vorrà diventare”. A questo proposito Morabito ha affermato: “Ad esempio, negli interventi della conferenza mi sembra sia emerso che, nonostante la criticità di molte situazioni presenti nel Mediterraneo, l’area non sia più una priorità come nel passato. Oggi si parla molto di Pacifico, di una Nato che si propone come player globale su questioni totalmente differenti. Ma recentemente abbiamo assistito all’esercitazione del Standing Nato Maritime Group Two (SNMG2) - attualmente sotto il comando italiano - assieme alla Marina tunisina e questo dà l’idea che ci sia ancora la volontà di collaborare con i Paesi della regione nonostante l’indecisione regni sovrana. Bisogna capire se l’Alleanza, dopo il 3 Novembre, saprà cogliere le occasioni che si potrebbero presentare o se prevarranno gli interessi nazionali a discapito della stabilità dell’area”. Una considerazione di fondo: “Il Mare Nostrum continuerà a restare lì in ogni caso: se non ci interesseremo oggi, dovremo comunque farlo in futuro”, ha sottolineato Morabito citando “i flussi migratori incontrollati lo dimostrano quotidianamente”.

Il ruolo della Nato oggi

Alla domanda su cosa possa fare la Nato oggi per la difesa del diritto internazionale di fronte alle pressioni di potenze regionali che si muovono autonomamente, il generale Morabito ha risposto: “Niente, o comunque molto poco. La Nato è un’Alleanza politico-militare, tutto quello che si decide al suo interno è vincolante solo ed esclusivamente per i Paesi membri. Però la domanda mi fornisce lo spunto per rilevare che oggi siamo in una fase d’incertezza su questo punto. Il concetto strategico non si tocca, come confermato anche dal Segretario Generale, ma si sta pensando a operare extra-mandato, anche se non si ancora bene come. Poi incombe la questione delle risorse. Per condurre certe attività serve un budget preciso e condiviso da tutti. Intanto, tutti compresa la Cina continueranno a comportarsi come fanno.” Ma qual è la “linea rossa” che la Turchia che – ricordiamo - è stato Membro - non deve superare per non far perdere credibilità all’Alleanza? La Turchia - spiega Morabito - è un alleato particolare: negli ultimi tempi il presidente Erdogan si è avvicinato al presidente russo Putin, poi lo scorso marzo è tornato a chiedere agli alleati supporto sotto il “cappello” dell’art. 4 del Trattato dell’Alleanza, in seguito al confronto con le truppe siriane a Idlib. E si è scontrato con Macron in seguito alle tensioni per il caso della fregata francese Courbet che ha intercettato la nave battente bandiera della Tanzania scortata da tre navi turche”. Seondo Morabito, “tutti in Europa protestano ma fanno poco o nulla”. Dunque, “con Erdogan non esistono linee rosse: la Turchia è un alleato importante per la Nato”. Morabito si è detto “sicuro che nemmeno lo scempio della Basilica di Santa Sofia riconvertita in Moschea, possa minare la posizione di Ankara nei confronti dell’Alleanza. Non ci si può permettere di non avere un luogo di confronto costante con la Turchia come quello offerto dalla Nato a Brussels.” Il punto è “che Paesi europei come anche l'Italia hanno perso anni in Libia lasciando spazio alla Turchia”. E nelle parole di Morabito una citazione di Albert Einstein: “Il mondo non sarà distrutto dai malvagi ma da coloro che rimangono a guardare senza fare nulla”.

La domanda di giustizia della società civile

A dare voce in tutto questo alla società civile è stata la giornalista freelance Sonia Batarrani che ha trascorso diversi anni in Iraq e che ha raccomandato di non dimenticare la richiesta di associazionismo che viene dal basso. Ha ricordato come agli albori delle primavere arabe si sia avvertita una domanda di giustizia e legalità e di come nel corso del 2019 si sia assistiti a nuove manifestazioni di piazza pacifiche, per esempio in Algeria e in Sudan, ma anche in Iraq. Oltre al proliferare di milizie di varia natura – ha sottolineato – c'è anche il moltiplicarsi di ong e di associazioni per i diritti umani, che si spera rappresentino una voce di speranza, in particolare dei giovani, in una zona del mondo che ancora paga problemi legati ai processi innescati dai conflitti mondiali, dalla decolonizzazione, dalla guerra fredda. 

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31 luglio 2020, 13:53