Non dimenticare l'obiettivo della copertura sanitaria globale
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Metà della popolazione mondiale può contare solo sul cinque per cento della spesa sanitaria globale, mentre appena nove dei 49 Paesi a basso reddito possono garantire ai propri cittadini servizi sanitari essenziali. Già prima della pandemia, l'Onu denunciava che nei Paesi ad alto reddito si spendeva circa 270 dollari pro-capite per la salute dei propri cittadini, in quelli più poveri non si arrivava a 20 dollari, e che milioni di persone restavano senza alcuna copertura sanitaria. Si tratta dei dati emersi all'High level Meeting sulla Copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage) svoltosi – a livello di capi di Stato e di governo - il 23 settembre 2019, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Ci si chiede quali saranno i dati se ci si riunirà a settembre prossimo, esattamente a dieci anni dal fatidico 2030, indicato per il raggiungimento dei cosiddetti Obiettivi del Millennio.
La road map indicata prima del Covid-19
Mentre le Nazioni Unite chiedevano ai governi di investire adeguatamente sui servizi sanitari, è arrivata la pandemia a mettere drammaticamente il tema al centro del dibattito. L'emergenza non è ancora finita ma è importante non dimenticare il Global action plan, il documento presentato circa un anno fa che andava oltre l'analisi per proporre un piano di azione davvero globale, che implicava il coinvolgimento di tutte le agenzie specializzate dell’Onu, per una copertura sanitaria globale. A ottobre 2018, su impulso dei governi di Germania, Norvegia e Ghana, 12 delle principali agenzie specializzate delle Nazioni Unite, inclusa l’Oms, la Banca mondiale e l’Unicef, avevano concordato una road map per massimizzare le convergenze e favorire l’efficienza degli interventi.
Sette le questioni su cui accelerare
Riconoscendo la grande distanza da colmare per raggiungere l’ambizioso Obiettivo di sviluppo (Sdg3) sulla salute, queste organizzazioni avevano identificato sette principali tematiche su cui “accelerare”. Non è un caso che nella terminologia di lavoro inglese siano definite proprio “accelerators”. Le sette tematiche in questione coprono macroaeree, come il sistema di finanziamento per la salute, o argomenti più tecnici, come la ricerca per favorire l’innovazione e la produzione di nuovi farmaci. Hanno come filo rosso la necessità di semplificare la macchina burocratica internazionale per essere più rapidi e attrezzati a supportare i governi e la popolazione.
Dopo lo tsunami della pandemia
La pandemia ha aggravato la situazione e ha anche messo in luce l'urgenza di intervenire su diversi livelli. L’efficacia del piano, dopo il drammatico impatto dell'infezione da Covid-19 e delle conseguenze economiche, andrà di pari passo con una rinnovata volontà politica, non solo delle Agenzie, ma di tutta la comunità internazionale, di cambiare finalmente il sistema. Intanto, la pandemia ha messo in luce le discrepanze anche tra sistemi sanitari diversi nell'ambito dell'Occidente più ricco, mentre la salute dovrebbe essere un bene di tutti, come sottolinea ai nostri microfoni Vincenzo Costigliola, presidente dell'Associazione Medici Europei:
Nella stessa Unione europea non c'è un sistema sanitario europeo, ma tanti diversi, sottolinea Costigliola spiegando che ognuno fa riferimento a impostazioni differenti. Sostanzialmente una differenza sta nel presupporre che tutti in assoluto debbano essere curati o preoccuparsi di assicurare le cure mediche ai lavoratori o ad altre categorie di cittadini. Nel frattempo, mentre i Paesi dell'est cercavano di uniformarsi allo standard minimo europeo - spiega - si sono fatte strade ovunque le assicurazioni mediche, sullo stile di un'impostazione statunitense. La pandemia certamente ha risvegliato l'attenzione al tema e, secondo Costigliola, nel Vecchio continente si deve tornare a immaginare un sistema europeo unico. Il presidente dell'Associazione di medici europei ribadisce, infatti, che serve una regia unica europea e che questo è stato evidente quando i vari Paesi hanno dovuto dare una risposta all'infezione e lo hanno fatto in ordine sparso perché non c'era l'uniformità che permettesse una risposta unitaria. Nell'immediato, in particolare, una risposta unitaria sarebbe stata invece fondamentale, sostiene. Castigliola poi afferma che in ogni caso in Europa c'è un presupposto per tutti: il diritto alla salute di ogni persona. Cita il contesto degli Stati Uniti dove invece una qualche assicurazione è necessaria per chiedere di essere curati. E raccomanda che il mondo guardi al modello europeo. Con tutti i limiti che ci sono e con le differenze tra Stati dell'Ue, Costigliola sottolinea che in Europa la salute non è fondamentalmente un business ma un servizio alla persona. E questo non deve cambiare. Anzi dovrebbe essere il modello per tutte le regioni del mondo.
Al centro la salute e la persona
A proposito dell'obiettivo di copertura sanitaria comune, Costigliola, tra l'altro, sottolinea che la pandemia ha reso evidente che purtroppo le strutture non sono sufficienti ovunque. E ribadisce che la comunità internazionale deve impegnarsi sempre di più per raggiungere l'obiettivo della copertura sanitaria globale e deve farlo cercando di svincolare il più possibile la logica del diritto alle cure dalle dinamiche politiche tra Stati. Per esempio, a partire dalla partecipazione all'interno dell'Oms o di altre organizzazioni internazionali. Il criterio dominante dovrebbe essere la difesa del diritto di ognuno ad essere curato e il dibattito dovrebbe essere aperto a tutti. Inoltre, Costigliola afferma che nessuna logica politica dovrebbe prevalere sul diritto alla salute. La cura delle persone è quello per cui giurano i medici, ricorda Costigliola che raccomanda che la salute “non cada in pasto ai politici”, non sia vittima della logica che fa della questione della salute una questione di potere. Castigliola, da medico, chiede che si permetta ai medici e ai sanitari di mettere la persona e la salute sempre al centro.
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