Peggiorano le condizioni sanitarie nella Striscia di Gaza. Morti due neonati
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Sono già morti due bambini da quando il coordinamento tra le autorità palestinesi e israeliane si è interrotto per le decisioni politiche che vanno nella direzione dell’annessione di parti della Cisgiordania a Israele. Le possibilità già limitate di lasciare Gaza per cure salvavita si sono infatti ulteriormente ridotte e l’effetto è questo. Save the Children, da oltre 100 anni a fianco dei più piccoli, rilancia col suo grido di allarme, il collasso di un sistema sanitario allo stremo per un isolamento decennale e ora per effetto del Covid- 19. I piccolissimi morti, uno di otto mesi e l'altro di soli nove giorni, avevano patologie cardiache e avevano bisogno di un intervento chirurgico non disponibile a Gaza, ma non hanno ricevuto in tempo il permesso per le cure.
"È un problema di politica, è il problema di un blocco che va avanti da anni, a cui si aggiunge la pandemia utilizzata spesso per giustificare misure in alcun modo giustificabili, e che hanno conseguenze gravissime". Parla così di quanto accade Filippo Ungaro direttore comunicazioni Save the Children Italia:
Mettere fine al blocco
Come i due neonati ci sono altri 50 bambini che potrebbero morire. Per motivi di sicurezza un terzo delle richieste, attualmente in calo, di uscire dalla Striscia per motivi medici, viene respinto dalle autorità israeliane. "Ogni giorno che passa, la finestra per aiutare questi bambini si chiude ulteriormente”, denuncia la Ong, e si tratta di una grave violazione dei loro diritti fondamentali. Cosa fare dunque? "Non esiste un'opzione B - dice Ungaro - non ci si può curare a Gaza e quindi occorre porre fine al blocco, trovare una soluzione pacifica al conflitto in modo mediato e nel rispetto del diritto all'autodeterminazione dei palestinesi.Non ci sono altre soluzioni".
Le voci raccolte da Save the Children
"Ho pregato che mi amputassero gli arti. Israele dovrebbe revocare il blocco così da avere buone scuole e buoni ospedali e poter avere cure e posti carini dove giocare. E poter, quindi, vivere come gli altri bambini nel mondo". Così dice la dodicenne Dina, nome di fantasia, paziente oncologica. Ahmed 13 anni, anche lui nome modificato per motivi di sicurezza, ha le gambe ferite dalle schegge di un proiettile e deve operarsi, ma non può muoversi. "Uno dei giorni più difficili della mia vita" dice "è stato quando sono uscito dall'operazione e mi avevano preparato una sedia a rotelle. Mi chiedevo a cosa servisse la sedia. Mi hanno detto: 'Ci siederai sopra e ci vivrai tutta la tua vita'. Ho pianto, dal profondo del mio cuore ... Non posso lasciare Gaza perché hanno chiuso i posti di blocco. La mia gamba sta peggiorando e io sono preoccupato per questo" .
Generazioni compromesse da politiche sbagliate
Save the Children in questo momento sostiene trenta bambini come Dina e Ahmed, che necessitano di cure mediche urgenti al di fuori di Gaza. Alcuni di questi appunto sono stati feriti durante il conflitto o nelle proteste e hanno arti amputati, gravi danni agli occhi e al sistema neurologico. Altri vivono con malattie debilitanti come cancro e patologie cardiache. "Sono bambini che potrebbero essere curati, in un paese civile, in modo normale e consueto - sottolinea Ungaro - eppure non è possibile". C'è il rischio della loro vita e c'è il rischio di tutta una generazione futura nella quale dice Filippo Ungaro "l'esasperazione di una mancanza di libertà costante, rischia di alimentare una profonda cultura dell'odio. Questo non possiamo permetterlo. Dobbiamo interrompere una catena di odio e riflettere sul male che fa una politica sbagliata sul futuro dell'umanità".
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