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Negli Usa riprese le esecuzioni federali per iniezione letale Negli Usa riprese le esecuzioni federali per iniezione letale

Usa, dopo 17 anni eseguita la prima condanna a morte federale

È stata eseguita ieri nello Stato americano dell’Indiana, per iniezione letale, la prima condanna a morte federale dal 2003. Per oggi ne era prevista una seconda ora bloccata da un giudice distrettuale. La pena capitale a livello federale è stata ripristinata, dopo 17 anni di moratoria, lo scorso giugno, fortemente voluta dall'amministrazione Trump

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Legge e ordine, è per rispondere a questo imperativo che ieri, nello stato dell’Indiana, è stato messo a morte per iniezione letale, Daniel Lewis Lee, il suprematista bianco accusato nel 1996 di aver ucciso un’intera famiglia, compresa una bimba di otto anni. Stessa sorte era prevista oggi, e sempre nel penitenziario dell'Indiana, per Wesley Ira Purkey, per l’omicidio, nel ‘98, di una sedicenne, ma l'esecuzione è stata bloccata da un giudice distrettuale, poiché il detenuto soffrirebbe di demenza. Di qui alla fine dell’estate si conteranno altre due esecuzioni federali: venerdì quella di Dustin Lee Honken, per duplice omicidio, poi in agosto quella di Keith Dwayne Nelson, stupratore e assassino nel ‘99 di una bimba di 10 anni. Un anno fa, il ministro della giustizia William Barr aveva annunciato la volontà del presidente Trump di voler mettere fine alla moratoria non scritta in atto dal 2003, sotto l’amministrazione Bush, e di voler riprendere le esecuzioni dei condannati dai tribunali federali. Alla fine del giugno scorso, quindi, la Corte Suprema aveva dato il via libera alla richiesta, non accettando, tranne due giudici, i ricorsi dei condannati in cui si definiva una violazione della legge federale l’adozione del nuovo protocollo per le iniezioni letali da parte del dipartimento di giustizia.

Negli Usa cresce il dissenso verso la pena capitale

“Non sono stato io, uccidete un innocente”: sono state le ultime parole di Lewis, al quale il verdetto di una Corte Suprema divisa, 5 a 4, non ha dato scampo, nonostante i ricorsi delle ultime ore da parte di alcuni giudici e i tentativi di bloccare l’esecuzione anche da parte della mamma e nonna di due delle vittime di Lewis Lee, sostenitrice di Trump ma contraria alla pena di morte. Attualmente, nel braccio della morte dei penitenziari federali si trovano 62 prigionieri, in quelli statali se ne contano 2743. La scelta del presidente Trump va in direzione opposta al crescente indirizzo degli Stati americani. Ad oggi sono 22 gli abolizionisti, in otto è in vigore una moratoria, in altri due non viene applicata da 10 anni. Il dissenso interno al Paese è molto compatto, nelle ultime settimane la voce più forte è stata quella dei vescovi americani e di altri leader religiosi che hanno chiesto di fermare le esecuzioni per concentrarsi sulla difesa della vita, perché la pena non può escludere la speranza e la possibilità di una riabilitazione.

Papa Francesco: la pena di morte è contraria al Vangelo

Rispetto al passato c’è molta più opposizione a livello di Chiesa cattolica, spiega Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, da sempre in prima linea nella lotta alla pena capitale. Marazziti ricorda anche come “secondo anche la linea del nuovo ‘Direttorio per la catechesi’, di recentissima pubblicazione, la pena di morte è sempre una misura disumana che umilia”. Negli anni, la voce del Papa è andata in quella direzione, Francesco in più occasioni ha sottolineato che la pena di morte è “inammissibile” è che va “abolita in tutto il mondo” perché “contraria al Vangelo”. La verità, prosegue Marazziti, “è che lo scorso anno solo 7 Stati hanno messo a morte, è un minimo storico, ma non interessa nulla, in questo momento la narrazione deve essere un’altra anche se in direzione anticristiana, per cui la pena di morte è una misura identitaria degli Stati Uniti e rientra nel fatto che colpisce i cattivissimi”.

Ascolta l'intervista con Mario Marazziti

Non ha niente a che vedere con giustizia e sicurezza

La decisione di ripristinare la pena capitale a livello federale “è un passo terribile che vuole essere dimostrativo, è una prova in più del fatto che la pena di morte non ha niente a che vedere né con la giustizia, né con la sicurezza, ma piuttosto corrisponde a una linea scelta per andare alle presidenziali di novembre”. Marazziti indica il fallimento della politica di Washington sul Covid-19, nonché la grave crisi economica che vivono gli Stati Uniti, quali elementi decisivi per la svolta imposta sulla pena capitale. " La scelta di seguire ‘legge e ordine’ o meglio di far finta che sia ‘legge e ordine’ è per incrementare i timori, legati anche alle manifestazioni Blak Lives Matter. È qui che entra la pena di morte, che non serve a niente”.

Vescovi e cattolici americani a difesa della vita

La posizione forte e compatta dei vescovi americani, per Marazziti, “segna il fatto che l'episcopato americano, a grandissima maggioranza, è contro la pena di morte in maniera ormai definitiva. Questo diventerà progressivamente un sentire della grande maggioranza dei cattolici e dei cristiani americani, è un percorso, un processo ormai iniziato e difficile da fermare”. È pur vero che attualmente vi sono politici “che sfruttano simbolicamente temi cari ai cattolici, come la preghiera esibita o la Bibbia esposta, questo continuerà ad esserci e diventerà un fattore divisivo. Ma, al contrario, la maggioranza dei cattolici farà la differenza anche su questo e anche negli Stati del sud, come il Texas” o in quelli fortemente conservatori, anche se in questo momento, “si parla alla pancia degli americani sperando di creare una paura sufficiente da qui alle elezioni di novembre per ribaltare il risultato”.

La politica si discosterà dall’estremismo arrivato ai vertici

Nei prossimi mesi, è l’analisi conclusiva di Marazziti, qualsiasi decisione sarà sospesa a causa del grande scontro elettorale, ma se la linea intrapresa da Washington dovesse diventare anche quella del futuro, allora il cambiamento riguarderà il mondo, perché vorrà dire che “l’odio sociale, incoraggiato addirittura dai vertici, può diventare una mina esplosiva in tutto il mondo, qualcosa a catena”. Tutto l’accaduto, quindi, aggiunge, è sì una brutta pagina, ma nel tempo “potrebbe anche favorire un distacco di una politica, anche se conservatrice ma seria, dall'estremismo arrivato al vertice”.

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15 luglio 2020, 12:55