Yemen: i separatisti del sud pronti alla pace. Continua la guerra contro gli Houthi
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Parziale svolta nello Yemen. I separatisti del Sud, il Consiglio di Transizione meridionale, hanno annunciato mercoledì che rinunciano al loro autogoverno, dichiarato unilateralmente in aprile, per attuare un accordo di condivisione del potere sponsorizzato dall'Arabia Saudita e porre fine alla rivalità con il governo riconosciuto a livello internazionale. Secondo la ricercatrice dell’Istituto di Politica Internazionale (ISPI), Eleonora Ardemagni, in esecuzione degli accordi di Riad del novembre scorso, l’Arabia Saudita acquista un ruolo preponderante nel confronto con i ribelli sciiti Houthi filoiraniani. Ed è poi chiaro che la scelta dei separatisti avrà un’influenza politica decisiva sulle istituzioni yemenite.
Infatti l'agenzia di stampa statale yemenita Saba ha dichiarato oggi che il presidente Abdo Rabu Mansur Hadi ha affidato al primo ministro Maeen Abdelmalek la formazione di un nuovo governo.
Risolvere il conflitto con gli Houthi
La comunità internazionale continua ad avere un’attenzione particolare sullo Yemen. Dopo sei anni di guerra contro i ribelli Houthi l’emergenza umanitaria è divenuta insostenibile, tanto più in questo periodo di pandemia. Intanto l’Onu continua a fare pressioni affinché il governo e i miliziani Houthi proseguano i negoziati, che comunque l'inviato delle Nazioni Unite nello Yemen, Martin Griffiths, ha definito “lunghi e difficili”. Si tratta di colloqui che proseguono da più di quattro mesi, con alti e bassi. Ma questo, afferma Griffiths è fisiologico nei negoziati difficili. Intanto sul terreno non si rilevano svolte particolarmente tangibili, con una ricaduta sempre più negativa per la popolazione civile a causa della fame e del Covid. La situazione umanitaria non è mai stata tanto grave.
Anche se la comunità internazionale riesce a far poco, sostiene Eleonora Ardemagni, è importante che si parli di questo dramma e che non si dimentichi l’importanza di agire quanto prima. Secondo la ricercatrice dell’Ispi a risolvere i problemi dello Yemen non servirebbe neanche tornare al periodo precedente al 1990, anno dell’unificazione, con il Paese diviso in due, al nord e al sud. In tutte e due le zone tangibili, sottolinea Ardemagni, si sono acuite in maniera forte le differenze interne tra realtà etniche e politiche. Sarebbe come gettare la benzina sul fuoco e non servirebbe a risollevare gli indicatori economici del Paese, attualmente tutti drammaticamente in rosso. “Questa situazione non può continuare – dice dal canto suo anche Griffiths – è necessario aiutare lo Yemen ora o lo vedremo cadere nell'abisso'”.
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