Giornata Onu per l'abolizione della schiavitù: la storia delle bambine del Benin
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Il 23 agosto è la Giornata internazionale di commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione in ricordo della rivolta avvenuta nella notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791 sull’isola di Santo Domingo - oggi Haiti e Repubblica Dominicana - e guidata dal generale Toussaint Louverture, ex schiavo, eroe della rivoluzione haitiana, che si concluse nel 1804. La rivolta fu un punto di svolta nella battaglia per l’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi, deportati a milioni nelle Americhe tra il XV e il XIX secolo: strappati alla loro terra, costretti in condizioni disumane e poi venduti e sottoposti ad ogni genere di violenza e sfruttamento.
“Un flagello che ferisce la dignità dei fratelli e delle sorelle più deboli”, l'ha definita Papa Francesco in uno dei suoi ultimi interventi sul tema, il 30 luglio scorso, in un messaggio alla Conferenza episcopale argentina, che ancora in precedenza aveva parlato di "una ferita dell'umanità", di una "mercificazione" contro la quale serve ancora tanto lavoro. E con la tratta, i crimini ad essa legati: dal lavoro forzato, alla prostituzione, al traffico di organi. Crimini che non si sono fermati con la pandemia e che vanno combattuti a tutti i livelli, come denunciato più volte anche da Caritas internationalis.
Il tema è ricorrente nel magistero di Francesco che ne ha parlato ancora come "un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate", denunciando nell'epoca contemporanea la "mercificazione" dell'essere umano privato della dignità che lo contraddistingue in quanto fatto a immagine e somiglianza di Dio. La lotta alla tratta e alla schiavitù è stata tra gli impegni più forti portati avanti da Papa Francesco anche quando era arcivescovo a Buenos Aires e ogni anno, il 23 agosto – Giornata internazionale per l’abolizione della tratta di persone – celebrava una Messa per le vittime in una delle piazze cittadine. Da lì fino in Vaticano con i ripetuti incontri internazionali per condividere buone pratiche e sollecitare una risposta globale a questo flagello.
La schiavitù esiste ancora, oggi, con numeri impensabili. Oltre 40 milioni di persone, infatti, vivono in condizione di totale sfruttamento e alla loro spalle le attività criminali muovono un budget da oltre 150 milioni di dollari. Circa la metà delle vittime vive in Asia, senza esclusione di fascia d'età, dai bambini agli adulti.
La storia del Benin
In Benin esiste un corpo di polizia chiamato "Brigade de Mineurs", specializzato proprio nella tutela dei bambini vittime del traffico e dello sfruttamento. A partire dalle sue segnalazioni inizia il lavoro degli assistenti sociali, a cui si affianca il prezioso contributo delle Suore salesiane, che nella casa famiglia "Laura Vicuña" di Zogbo, un quartiere di Cotonou, ogni anno ospitano circa 400 bambine di età compresa tra i 6 e i 17 anni, sottratte al traffico. Tra loro c'è suor Maria Antonietta Marchese, che ci racconta cosa significa oggi essere schiavi e cosa accade a tante bambine che non ricordano più nenache chi sono, a causa di quello che devono sopportare. Ma tra loro tante rescono anche a farcela e a crescere, sposarsi e avere una lavoro e una vita in cui mai farebbero gli errori di chi le ha precedute:
Che cos'è la schiavitù oggi? Che cos'è lo sfruttamento oggi dal suo punto di vista?
R. - È il fatto di privare le bambine dei loro diritti, della famiglia, della salute, del divertimento, della possibilità di essere autonome e di venderle ad altre persone dietro compenso, in modo che abbiano una vita veramente di dipendenza assoluta dal cosiddetto padrone.
Quindi la schiavitù non è una cosa del passato?
R. – Sì, in Benin esiste nel senso che viene considerata una caratteristica culturale che un tempo era a beneficio dei bambini, quando il piccolo veniva tolto alle famiglie più povere e affidato a famiglie un po' più benestanti, ma andava a scuola e aveva un avvenire. Poi dagli anni “70-80 è diventata una vera schiavitù. Nel senso che non è più a beneficio del bambino, ma a beneficio delle famiglie che così hanno una manodopera a costo zero e considerano questi bambini, specie le bambine, una loro proprietà, quindi spesso le bambine non riescono più a ricordare neanche l'origine della loro famiglia. A me è capitato di cercare le famiglie, perché quando qualche bambina riusciva a scappare da queste situazioni, la polizia dei minori ce le affidava e noi cercavamo anche di ritrovare la famiglia. A volte era facile, a volta era difficile, a volte le bambine erano bene accolte, a volte no e quindi esiste ancora purtroppo questo questa forma di schiavitù.
Il Papa parla nell'età contemporanea di una mercificazione dell'essere umano che ne svilisce la dignità, non siamo più esseri fatti a somiglianza di Dio, ma siamo oggetti. Lei è d'accordo su questo concetto?
R. – Purtroppo è esatto. Io ricordo casi che sono successi a me. Quando arrivavano delle bambine e noi andavamo a cercare il loro villaggio di origine, a volte la famiglia ci diceva che avevano pagato 5 euro e avevano ricevuto un pezzo di stoffa per dare via la loro bambina, di cui poi non conoscevano assolutamente la destinazione. Quindi, sì, per tanti è una mercificazione: alcuni prendevano i soldi tutti all'inizio, altri un po' per volta andando a riscuotere quello che secondo loro era il valore della bambina,
Quanto riesce a fare la vostra opera, la casa-famiglia, quanto riescono a fare i Salesiani in questo mare immenso che è uno Stato come il Benin?
R. – Il problema è soprattutto delle bambine. In particolare noi, ma non solo, riusciamo a dare un futuro a parecchie di loro per fortuna. Le avviamo agli studi, diamo loro una possibilità di difendersi, anche se tornano al villaggio lasciando i nostri recapiti. Ma le persone per fortuna iniziano a sensibilizzarsi al valore dei bambini. Lentamente, ma le cose stanno cambiando. Noi siamo riusciti a recuperarne parecchie, certo non tutte, perché quelle che vengono da noi sì, ma tante non vengono e restano schiave delle famiglie, anche purtroppo di famiglie credenti che pensano che, se non le maltrattano troppo fisicamente, hanno il diritto di tenerle.
Una storia bella di una bambina che è passata da voi e che è andata avanti, se la ricorda? Può raccontarla?
R. – Certo. Una bambina che io ho accolto a sei anni, che sono riuscita a portare da noi. Lei, dopo una lunga storia di sofferenza, si è riconciliata col padre che l’aveva venduta. Ha studiato ed è diventata infermiera, seguita sempre da noi e poi, l’anno scorso, mi ha detto che si era sposata e si è creata una famiglia ed era riuscita soprattutto a perdonare il papà che l'aveva venduta quando lei aveva 6 anni assieme al fratellino. Non è l’unica storia… ce ne sono tante per fortuna di bambine che riescono a formarsi una famiglia e che soprattutto mi dicono: “Mai cederò la mia bambina”, perché hanno provato quello che vuol dire.
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