Libano in lockdown. Il dramma di bambini e famiglie in un Paese in crisi
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Indagini a rilento in Libano per arrivare a fare chiarezza sulla doppia esplosione che al porto di Beirut, il 4 agosto scorso, ha causato centinaia di morti e oltre 700mila sfollati. E sale la preoccupazione per gli speculatori che cercherebbero di trarre profitto dalla catastrofe comprando terre e case distrutte specie dai cristiani. A lavoro restano i volontari ed i missionari per fare fronte alla povertà e alla crisi sociale: bambini e famiglie i più colpiti. Ce lo racconta suor Grazia Maggese delle suore di Carità dell’Immacolata Concezione, in Libano da 27 anni:
R. - I bambini risentono maggiormente di questo crollo della famiglia, delle preoccupazioni che le famiglie vivono perché devono sostenere i loro figli, negli studi, nella loro crescita, nel loro sviluppo, quindi, oltre al trauma dell'esplosione, i bambini respirano aria di incertezza. I genitori si chiedono cosa fare, se rimanere, se partire e dove andare, senza parlare delle difficoltà di approvvigionamento del cibo. C'è una disoccupazione generalizzata.
La pandemia da coronavirus, sicuramente ha peggiorato le condizioni di tutti. Come si vive con questo ulteriore problema?
R. - La pandemia ha aumentato il carovita, ha diffuso paura, incertezza, anche nel farsi curare. Da includere poi l'incidenza dell'economia che impedisce l'acquisto di mascherine e gel e strumenti di protezione. Con l'esplosione, la gente non ha più pensato a difendersi perché c'era un'emergenza a cui fare fronte, in più negli ospedali, quasi tutti andati distrutti, ormai si fa una scelta tra chi curare e chi lasciare....e questo è molto duro dal punto di vista umano e sociale.
So che voi state lavorando ad un progetto per i bambini e per le famiglie. Di che si tratta e quali sono le vostre speranze?
R. - Un cristiano, un missionario non sta a guardare quello che accade. Un missionario è in ascolto del grido di sofferenza del popolo, vede quanto il popolo soffre. Ecco, il Signore ci invia, nonostante la pandemia. Quindi noi, già dopo l'esplosione, siamo andati tra la gente, proprio come segno di solidarietà e di fraternità. Siamo scesi in campo per poter aiutare le persone a sgomberare un po' le case, a ripulirle. Ripulire le strade dai vetri: ecco questo è stato il progetto a breve termine. Però c'è un progetto a medio e a lungo termine, perché oltre alla ricostruzione materiale c'è bisogno di qualcosa di più profondo. E così noi ci stiamo organizzando con una équipe pluridisciplinare impegnata a costruire un po' la speranza, a costruire con la gente il proprio futuro. Abbiamo previsto un intervento a livello psicoterapeutico, quindi faremo delle terapie di gruppo e un accompagnamento individuale per essere in ascolto dei traumi che sia i bambini sia le famiglie che gli anziani hanno vissuto e che portano ancora dentro. Una seconda équipe farà un lavoro socio-educativo con attività per i bambini, per i giovani e per le donne. Un'altra équipe ancora lavorerà sulla ristrutturazione. Ci sono i poveri che non possono permettersi di ricomprare un tavolo nuovo o una sedia nuova o qualsiasi cosa. Allora questa équipe di artisti visiterà le famiglie e si impegnerà a rifare il "bello", a ristrutturare ciò che è stato danneggiato però in modo artistico. E poi ovviamente dedicarsi all'Arteterapia. Un altro gruppo invece si occuperà delle famiglie più povere che forse non sono state prese in considerazione dalle Ong. Quindi il nostro lavoro sarà capillare: insieme alle Ong lavoreremo per ricostruire case o installare porte e finestre. Il nostro criterio è scegliere una zona povera, problematica e mista, con varie etnie e religioni. Il Paese è stato indebolito e la tendenza è a mettere in crisi la capacità del Libano di dialogare, di vivere insieme. Ecco dunque il nostro scopo: costruire delle comunità in dialogo. Per questo faremo dei cantieri dove inviteremo i giovani, la gente del luogo, con la nostra equipe e i volontari cristiani, musulmani, siriani, ortodossi, greco cattolici, del Kuwait e di qualsiasi nazione, per lavorare insieme. Diciamo che questo è un progetto che ha una base teologica, che è quella del dialogo perché l'identità del Libano è proprio questa, come disse Giovanni Paolo II, più che un Paese è una missione, e questa è la nostra missione. Abbiamo come punto di riferimento un giardino pubblico che è stato danneggiato e abbandonato e quindi lavoreremo lì come prima tappa, perché ci sia un avvicinamento tra le diverse comunità e lì poi instaureremo un dialogo e cercheremo di andare più lontano.
Quale è stata la reazione dei libanesi in questo periodo, la risposta della loro fede in una situazione così difficile, secondo lei?
R. - Il popolo libanese è un popolo profondamente religioso. In questo momento, sto sentendo che la gente si chiede perché, perché il Signore sta permettendo questo, perché ci sta abbandonando? Oltre alle altre crisi, politica e sociale, avverto anche una crisi religiosa e noto che la Chiesa non è riuscita a stare tanto vicina al popolo e questo ha aumentato il malessere. Il nostro intervento è dunque in questo contesto quello di dire alle persone: "Il Signore è qui con voi ed è Lui attraverso di noi che vi sta dando una mano". Questo vogliamo essere: una presenza del Cristo che è risorto e che vuole la Risurrezione. Vogliamo testimoniare che non è la morte ad avere l'ultima parola, non è l'ingiustizia. Il Signore ha rovesciato i potenti dai Troni, ha innalzato gli umili, ha soccorso il popolo. È possibile costituire una società dove ci sia armonia? Io penso di sì, ma dobbiamo lavorare tutti insieme. Questo è un momento duro anche per la Chiesa, un momento in cui confrontarsi con la crisi della gente, coi dubbi anche di fede, per rimettersi in cammino, per seguire Cristo. Il potere del cristiano e della Chiesa è il servizio.
Lei è da 27 anni in Libano. Di questo Paese specie ora, da più parti, si è ricordato il volto della mediazione, del dialogo, della neutralità tanto auspicata. Ecco, come è oggi il Libano dal suo punto di vista?
R. - Il Libano di oggi ha un denominatore comune col passato: da una parte si patisce la tendenza che c'è a mettere in crisi l'aspetto fondamentale dei libanesi, quello dialogante, ma dall'altra, proprio dopo l'esplosione, ci siamo ritrovati tutti insieme, l'uno a fianco dell'altro a lavorare senza distinzioni. Ecco, è questo il Libano di domani: quello per il quale superare il comunitarismo e educare al senso di appartenenza alla nazione, una nazione radicata appunto in una cultura del dialogo e del rispetto reciproco. Il Libano è la casa dei libanesi, aperta e ospitale, questo è il Libano di domani che dobbiamo sostenere e nutrire, fatto di dialogo, senso di appartenenza e neutralità.
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