Il Centrafrica a 60 anni dall'indipendenza
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Sessant’anni in cui si sono susseguiti inizialmente colpi di stato e poi una lunga guerra civile. A novembre 2015 la prima porta santa ad essere aperta personalmente da Papa Francesco è stata quella della cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, che in quel momento era l'ultima tappa, dopo il Kenya e l'Uganda del primo viaggio del Pontefice nel continente nero. “Vengo come pellegrino di pace e mi presento come apostolo di speranza”, disse il Papa al suo arrivo a Bangui, dove l'allarme attentati era altissimo ma dove Francesco non volle rinunciare alla papamobile scoperta. Cinque anni dopo, alcuni passi avanti verso un vero processo di pacificazione del tessuto sociale sono stati fatti, ma non mancano fattori di destabilizzazione per i forti interessi in campo, come ci ha confermato padre Aurelio Gazzera, che vive tra Bangui e il nord del Paese:
Padre Aurelio ricorda che da tempo il governo non ha il completo controllo del territorio e sacche di illegalità sono registrate nelle campagne e nelle province del nord, dove ancora avvengono, meno che in passato, scontri tra i due maggiori gruppi ribelli e forze governative. Ci sono gruppi di ribelli che negli ultimi tempi accettano di sedersi a un tavolo per negoziare equilibri di potere sul territorio ma è anche vero che alternano momenti di disponibilità con decisioni improvvise di abbandonare il dialogo. Una delle attività in cui si intrecciano lecito e illecito è quella della tassazione della transumanza. La missione Onu Minusca cerca in continuazione di neutralizzare ribelli che spadroneggiano, recuperando armi, munizioni e motociclette. Ma il missionario sottolinea anche che l'instabilità dei Paesi confinanti - Ciad, Sudan, Sudan del Sud e Repubblica Democratica del Congo - influisce negativamente sulla stabilità interna del Paese. Poi ricorda le ingenti risorse naturali di cui è ricco il territorio - citando legno, oro etc - per sottolineare che bisogna considerare, in particolare negli ultimi tempi, l'ingerenza sempre più significativa di potenze straniere che si aggiungono ad altri interessi di multinazionali occidentali. In definitiva, non si vive più la guerriglia e la serie di attentati di qualche anno fa ma non si può neanche dire che nel Paese ci sia una vera pace e tantomeno un processo di ordinato sviluppo. Padre Gazzera racconta che la decisione di Papa Francesco di aprire la prima porta santa del Giubileo a Bangui ha acceso i riflettori internazionali: da allora – afferma – non si sono mai davvero spenti, ma certamente i progressi sono lenti perché purtroppo le risorse non vengono sfruttate per il bene del Paese. Il rischio purtroppo è sempre quello che in una situazione così precaria, di scarso controllo delle forze governative sul territorio e di popolazione affamata, si possano infiltrare forze terroristiche, che non mancano di agire in tutta la regione. A proposito della pandemia, Padre Gazzera conferma che il Covid-19 rappresenta un problema sottolineando che in questo momento la sua missione è proprio quella di portare, e seguire la distribuzione sul campo, le risorse che la Conferenza episcopale italiana (Cei) e la Caritas hanno messo a disposizione per il Paese. Ma il missionario ricorda anche che, purtroppo, dal punto di vista sanitario il Centrafrica soffre di altre emergenze croniche, come quella della malaria, del morbillo, della denutrizione.
Sessant'anni fa l'indipendenza
Il territorio è stato una colonia francese con il nome di Ubangi-Sciari o Uubangui-Schari. Il referendum costituzionale francese del settembre 1956 porta all'approvazione della nuova costituzione, che sarebbe entrata in vigore nel 1958, per la neo Repubblica Centrafricana all'interno della neo Comunità francese, sorta allo scioglimento dell’Africa Equatoriale Francese. Nel 1958 è attiva l'Assemblea centrafricana che elegge capo del governo Boganda, che però a marzo 1959 muore in un incidente aereo. Suo cugino David Dacko, lo sostituisce e conduce la Repubblica Centrafricana alla completa indipendenza con la dichiarazione del 13 agosto 1960. In questi sessant’anni si sono susseguiti colpi di stato e guerre. Dopo trent'anni di governo prevalentemente militare, nel 1993 si insedia un governo civile durato dieci anni. Ha assunto il nome attuale prorpio al momento dell'indipendenza nel 1960. Dopo trent'anni di governo prevalentemente militare, nel 1993 si insedia un governo civile durato dieci anni. Nel marzo 2003 il presidente Patassé ed il suo governo sono deposti con un colpo di Stato dal generale Francois Bozizé, che forma un governo di transizione. Nelle contestate elezioni generali del 2005 il generale Bozizé viene eletto presidente. Il governo non ha però il completo controllo del territorio e sacche di illegalità sono registrate nelle campagne e nelle province del nord, dove continuano gli scontri tra i due maggiori gruppi ribelli ed il governo.
La guerra civile
Il 24 marzo 2013 Bozizé è costretto alla fuga dopo la presa della capitale Bangui da parte dei ribelli Seleka. Abbandonata la città, avrebbe raggiunto la Repubblica Democratica del Congo attraversando il fiume Ubangi. In seguito alla caduta di Bozizé e alla sua fuga in Congo e poi in Camerun, i ribelli di Séleka decidono di porre uno dei propri leader come Capo di Stato della Repubblica Centrafricana: Michel Djotodia, uno dei più strenui oppositori dell'ex presidente. Il primo ministro, invece, resta al suo posto anche con la nuova presidenza. Il 10 gennaio 2014 Djotodia si dimette insieme con il suo primo ministro durante un summit straordinario della Ceeac, e viene nominato presidente provvisorio Alexandre-Ferdinand Nguendet. Il 20 gennaio 2014 Catherine Samba-Panza prende il posto di Nguendet, venendo eletta presidente di transizione della Repubblica Centrafricana grazie al voto del parlamento. Il 23 luglio 2014, i belligeranti firmano un accordo di cessazione delle ostilità a Brazzaville, lasciando tuttavia il Paese diviso in regioni controllate da milizie sulle quali né lo Stato né la missione dell'Onu hanno presa.
Il processo di riconciliazione di Touadéra
In occasione delle presidenziali del 2015-2016, viene eletto ca po dello Stato Faustune-Archange Touadéra, il quale lancia un processo di riconciliazione nazionale per rendere giustizia alle vittime delle guerre civili, per la maggior parte dislocate all'interno e all'esterno del Paese. Incarica per decreto il suo ministro Regina Konzi Mongot di elaborare il Programma nazionale di riconciliazione nazionale e di pace, proposto nel dicembre 2016, adottato all'unanimità dagli organismi internazionali. Da allora, un comitato è al alvoro per giudicare i principali attori e risarcire le vittime. Non si tratta di un processo né breve né facile. Tra gli episodi più gravi, bisogna ricordare, a giugno 2017, gli scontri a Bria, nel centro-est del Paese, con cento morti.
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