Iraq: sei anni fa la cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014 furono circa 120mila i cristiani costretti a fuggire dalla piana di Ninive, cacciati dai miliziani del sedicente Stato islamico. La violenza dell’Is si accanì sui loro villaggi e sulle loro case ma anche sulle chiese: 13mila le abitazioni colpite, oltre mille quelle totalmente distrutte. I cristiani, una presenza storica nella zona di Ninive, scapparono in fretta e con il poco che riuscirono a portarsi dietro, cercarono riparo verso il Kurdistan iracheno, alcuni andarono oltre i confini del Paese. Solo nella seconda metà del 2016 alcuni di loro cominciarono a tornare nella Piana di Ninive, ormai liberata dall’occupazione jihadista. Sei anni dopo, quasi metà della popolazione cristiana è rientrata. L’aiuto della Chiesa e della comunità internazionale nella ricostruzione è stata molto importante per consentire ai cristiani di tornare nei loro villaggi e nelle loro città. Da Qaraqosh – Baghdeda, città irachena a Est di Mosul, padre George Jahola racconta a Vatican News l’importanza della comunità cristiana nella società del Paese e sottolinea la necessità di garantire condizioni economiche e politiche che consentano ai cristiani di costruire un futuro sicuro nella Piana di Ninive.
R. - Per l’Iraq i cristiani sono una componente necessaria, ma anche una presenza storica. Qui cristiani hanno dato un influsso alla società per la coesione sociale. Hanno contribuito al bene sociale e ad attenuare i conflitti nella regione dove vivono e quindi una testimonianza è necessaria per questa area che ha subito in questi ultimi anni un colpo molto duro per l’Iraq, ma soprattutto per la presenza dei cristiani in Iraq.
Quanti sono i cristiani tornati oggi nella Piana di Ninive?
R. - Quasi la metà, il 50% di quelli che c'erano prima, quindi siamo oggi sui 200mila nella Piana di Ninive. Gli altri hanno trovato altri luoghi dove continuare la loro vita.
I cristiani che sono rientrati nella Piana di Ninive oggi come vivono?
R. - Vivono dei lavori che avevano prima, alcuni sono impiegati nel governo, altri lavorano nel commercio o nell’edilizia e in altri settori, anche se tutto in Iraq, sia dal punto di vista economico che lavorativo, è molto precario e incerto. Anche questa difficoltà diventa per i cristiani motivo per lasciare il Paese.
Padre George, c'è qualche testimonianza delle persone rientrate che l'ha colpita particolarmente?
R. - Gli ostaggi degli Isis che hanno veramente mostrato una tenacia nella fede, nel dare una testimonianza della loro fede. Mi ricordo di una ragazza che i componenti del sedicente Stato islamico obbligavano a pregare come loro, ma lei di nascosto pregava le sue preghiere, per non dimenticare e non distaccarsi dalla propria fede. Questa è stata una testimonianza molto significativa per noi.
Per chi è rientrato, quanto è stato difficile tornare e ricostruire?
R. - Quando la gente ha cominciato a rientrare nella Piana di Ninive, nel 2016, è stata colpita dall’enorme distruzione, dal vedere le proprie case bruciate o rase al suolo e quindi all'inizio le persone erano giù di morale, però con l'aiuto della Chiesa e soprattutto grazie anche all’aiuto delle organizzazioni cristiane abbiamo dato una spinta alle loro speranze. Ancora oggi continuiamo a ricostruire le case, abbiamo superato la metà delle abitazioni ricostruite e abbiamo bisogno ancora di continuare per confermare la presenza dei cristiani e assistere le famiglie che vogliono rientrare.
La Chiesa nel mondo e la comunità internazionale cosa possono fare ancora?
R. - Forse a livello economico abbiamo ancora bisogno di aiuto, ma è soprattutto a livello politico che serve un intervento per essere certi oggi di poter vivere in questa area. I cristiani hanno bisogno di essere rassicurati sul loro futuro, non soltanto economico ma anche politico, perché la gente che sta ricostruendo si chiede a quale futuro vada incontro, se tornerà la minaccia dell'Isis o delle milizie, di cadere nel settarismo che oggi colpisce l'Iraq. Quindi la comunità internazionale ha questo compito di assicurare ai cristiani il loro futuro.
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