Brexit: nuovo round di negoziati, ma Ue e Regno Unito sono ancora distanti
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Tornano a sedersi allo stesso tavolo le delegazioni dell’Unione Europea e della Gran Bretagna, alla ricerca di un accordo su tutti gli aspetti economici e commerciali della Brexit, l’uscita di Londra dall’Europa. Un appuntamento, quello di Londra, previsto fino al 20 agosto, che per la maggioranza degli analisti non sarà ancora decisivo. Troppo distanti le posizioni del Regno Unito, rappresentato dal capo negoziatore David Frost e di Bruxelles, che parla con la voce di Michel Barnier.
Il premier britannico Johnson: accordo entro settembre
Il premier britannico Boris Johnson si dice convinto che entro settembre l’accordo ci sarà. L’Unione Europea ha tracciato la “dead line” a fine ottobre, per dare il tempo ai 27 Paesi membri di ratificare l’accordo entro il 31 dicembre, quando scadrà il periodo di transizione e la Gran Bretagna sarà a tutti gli effetti fuori dall’Europa, con o senza accordo. L’uscita “no deal” non sembra preoccupare troppo Johnson, ma il suo è solo un bluff, secondo la politologa Federiga Bindi, docente in Integrazione Politica Europea all’Università di Roma Tor Vergata, dove ha creato e dirige l’Ufficio Europeo.
Bindi: tanto dipenderà dalle presidenziali Usa di novembre
“Senza accordo il Regno Unito si troverebbe completamente isolato - spiega Bindi a Vatican News - gli inglesi non sono ancora riusciti a chiudere nessun negoziato, né con gli Stati Uniti, né con la Nuova Zelanda, né col Giappone”. Moltissimo, per la politologa fiorentina, dipenderà dalle elezioni presidenziali Usa di novembre. Ecco come vede la situazione dei negoziati.
R. - Francamente, non credo che ci sarà un accordo sulla Brexit questa settimana e sarà necessario continuare a negoziare almeno fino a settembre se non oltre.
Sembra che il fallimento di ogni accordo, il cosiddetto “no deal”, preoccupi più l'Unione Europea che la Gran Bretagna. Perché?
R. - Credo che sia solo apparenza. Il premier britannico Johnson mostra di non essere preoccupato e in questo ha ora gioco facile, perché nonostante tecnicamente il Regno Unito sia già uscito dall'Unione Europea a gennaio, ancora, in mancanza di un accordo, per tutto quest'anno per i cittadini inglesi è come se ci fosse ancora l'Unione Europea. La gente non sta ancora sentendo sulla propria pelle gli effetti della Brexit, e quindi lui può far finta di non essere preoccupato. In realtà avrebbe tutti i motivi per esserlo, perché il Regno Unito, in mancanza di accordo, si troverebbe ad essere completamente isolato e a non ottenere nulla di quello che vuole. Quindi è una situazione estremamente scomoda per un Paese. Non ha nessun interesse a rimanere senza accordo, solo che fa finta che non sia così.
Le posizioni di partenza sono ancora quelle di fine luglio, con l'Unione Europea che chiede alla Gran Bretagna di rispettare comunque la regolamentazione commerciale (“level playing field”) dell'Unione e Londra invece che vuole essere completamente autonoma?
R. – Sì, sono sempre le stesse, e sono tuttora lontanissime, su questa e su numerose altre questioni, tra cui il ruolo della Corte di Giustizia Ue nell’ applicazione dell’accordo, il confine con l'Irlanda, la pesca. Sono le stesse questioni aperte da anni.
Per trovare un accordo quindi bisognerebbe che ognuna delle due parti rinunciasse a qualcosa?
R. – Sì, ma è molto improbabile che sia l’Unione Europea a rinunciare.
Sulla pesca, ad esempio, il Regno Unito pretende ancora la quasi totale esclusione dei pescherecci europei dalle proprie acque territoriali, ma l'Unione Europea ha già detto che è una condizione inaccettabile…
R. – E’ una condizione assolutamente inaccettabile. Se torniamo agli anni passati, la politica della pesca è sempre stata una questione molto spinosa, sia negli anni Settanta, quando il Regno Unito, la Danimarca e l'Irlanda sono entrati e doveva entrare anche la Norvegia, sia poi nei negoziati con la Spagna e Portogallo, fu l’ultimo punto dei negoziati che fu chiuso. E’ una politica fondamentale per molti dei Paesi dell’Unione Europea e quindi non è possibile che Bruxelles possa cedere su questo.
Crede che si troverà comunque un accordo entro ottobre o novembre o ci sarà una “Brexit no deal”?
R.- E’ possibile che sul filo di lana ci sia un accordo, ma non è certo. Secondo me molto dipenderà da cosa succede a novembre (con le elezioni presidenziali Usa, n.d.r.). Finché Johnson pensa di avere le spalle coperte da Trump, si può permettere di fare la voce grossa, anche se Trump in realtà le spalle non gliele copre. E gli inglesi non sono riusciti a negoziare nessun accordo con gli Stati Uniti, al momento, né con la Nuova Zelanda, né col Giappone. C’è anche un problema proprio di capacità negoziale da parte degli inglesi che è abbastanza sorprendente. Se a novembre dovesse vincere Biden, che per altro ha origini irlandesi di cui è molto fiero, l'Inghilterra si troverebbe ulteriormente isolata e quindi la sua posizione negoziale si indebolirebbe ancora di più.
In quel caso potrebbero riacquistare forza quelli che chiedono un nuovo referendum sulla Brexit?
R. – Questo lo vedo improbabile, non perché non avrebbe senso, ma perché ormai la questione pare essere stata sepolta con le ultime elezioni. E’ possibile, invece, che ci sia un terremoto a livello politico domestico in Gran Bretagna, con un nuovo governo e quindi una diversa posizione negoziale.
In conclusione, che Europa sarà dal primo gennaio 2021, senza la Gran Bretagna?
R. – Credo che dipenda anche qui molto da cosa succederà il 3 novembre negli Stati Uniti. La relazione transatlantica, che è un pilastro fondamentale della politica estera dell'Unione Europea, in questo momento è al suo minimo storico. E gli europei non sono stati in grado di approfittare di questo “vacuum” americano. Quindi se dovesse vincere Trump, credo che l’Unione Europea continuerà a navigare a vista. Se dovesse vincere Biden, forse la speranza in un nuovo mondo globale, a quel punto farà risvegliare anche l'Unione Europea, o perlomeno così spero.
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