Usa, morti e feriti per Blake. Riprese le esecuzioni federali
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Sarà la quarta esecuzione dalla ripresa, a luglio, della pena capitale a livello federale. Lezmond Mitchell, di origine Navajo, unico nativo americano nel braccio della morte federale, sarà ucciso oggi, dopo la decisione del presidente Trump di interrompere, dopo 17 anni, la moratoria delle esecuzioni federali. Anche nel caso di Mitchell, come in quello Daniel Lewis Lee, alla iniezione letale si sono opposti gli stessi familiari della vittime. Tra due giorni si prevede la quarta esecuzione, quella di Keith Dwayne Nelson, dal 2001 nel braccio della morte.
La voce di Francesco e dei vescovi contro le esecuzioni
All’inizio di luglio, a chiedere di fermare le quattro esecuzioni previste in questi mesi, erano stati i vescovi americani e oltre mille leader religiosi degli Stati Uniti, al loro fianco migliaia di cattolici. La pena, avevano detto i presuli in quella occasione, “non può escludere la speranza e la possibilità di una riabilitazione”. Papa Francesco ha sempre ribadito come la pena di morte sia “inammissibile” e come vada abolita in tutto il mondo” perché “contraria al Vangelo”.
Law & Order per ottenere consenso
Lo scorso anno, su 50 Stati, in 7 hanno messo a morte, per un totale di 22 esecuzioni su 54 condanne capitali. Un fenomeno relativamente ridotto, con numeri modesti, spiega Gregory Alegi, docente di Storia delle Americhe presso l'Università LUISS di Roma, “ma che caratterizzano una visione della società sempre più basica, sempre meno portata alle discussioni sul recupero e sempre più sulla punizione brutale”. Per il presidente Trump, prosegue Alegi, “si tratta probabilmente di inseguire un'immagine che chiameremo di law & order, di ordine e legalità, che ritiene lo aiuti nella competizione politica contro i democratici presentati, invece, come partito del caos e del disordine”. Si tratterebbe quindi di un tentativo di recuperare popolarità inseguendo l’immagine del difensore dell’ordine costituito.
Le proteste dopo il ferimento di Jacob Blake
In questo senso si inquadra anche quanto sta avvenendo in queste ore in Wisconsin, stato del Midwest, scosso dalle manifestazioni innescate dal ferimento da parte della polizia dell’afroamericano Jacob Blake, colpito alla schiena, dopo un diverbio con la polizia, con sette colpi di pistola che lo hanno lasciato paralizzato. Nonostante i ripetuti appelli della famiglia dello stesso Blake a non dare vita ad atti di violenza, il bilancio degli scontri si è aggravato sempre più, e nelle ultime ore due persone sono morte e altre sono rimaste ferite da colpi di arma da fuoco, senza che però sia stata chiarita la dinamica. Dal 25 maggio scorso, data dell’uccisione da parte della polizia di un altro afroamericano, George Floyd, tutti gli Stati Uniti sono stati attraversati da proteste pacifiche e non, anche sotto la bandiera del movimento Blak Lives Matter che ha annunciato importanti manifestazioni per il prossimo fine settimana.
La questione razziale e l'azione della polizia
A spiegare come mai la gestione dell’ordine pubblico da parte di alcuni esponenti della legge sembri risentire di aspetti razziali è ancora Alegi. “Negli Stati Uniti – precisa lo storico – che è un sistema federale, manca una polizia nazionale, non c'è nulla di equivalente alla Polizia di Stato italiana o ai nostri Carabinieri”. Di qui una frammentazione delle forze di polizia che vede “una formazione non adeguata, un addestramento spesso veloce, più concentrato sulle tecniche di contrasto, una crescente militarizzazione, che preclude una gestione meditata e graduale delle crisi”. Le minoranze all’interno delle forze di polizia, come quella afroamericana o quella latinoamericana, “sono rappresentate in maniera abbastanza consistente. Il problema è che gli esponenti sindacali, i rappresentanti collettivi, sono in misura sproporzionata bianchi e quindi c'è una forma di difesa del poliziotto, dell’agente, nei confronti della violenza sul cittadino sulla vittima.” Occorre poi tenere conto della forte “componente sociale”, poiché “negli Stati Uniti disagio e povertà coincidono, si sovrappongo largamente, alla razza”. Di qui un numero molto più alto di crimini e di repressione nei confronti delle minoranze.
Negli anni si invertirà il rapporto di forza
Gli Stati Uniti scontano le contraddizioni di un sistema socio economico che è fortemente squilibrato e quindi, per Alegi, non è difficile ipotizzare che tra un paio di decenni “i bianchi non saranno più maggioranza assoluta, ma maggioranza relativa, saranno cioè la più grande delle minoranze”, e questo tra le tante ipotesi potrebbe a breve “far accelerare il senso di insicurezza dei bianchi e quindi cementare quel blocco che si è schierato in larga parte con Trump 4 anni fa”. Al contrario, nel medio e lungo termine, è la conclusione, “dovrebbe portare ad una coalizione delle minoranze e quindi indirizzare il sistema verso una visione più progressista, più aperta, in qualche modo più europea della società americana, e quindi più inclusiva, con il superamento di tensioni e conflitti”.
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