Diga sul Nilo: nuovo round di negoziati tra Etiopia, Egitto e Sudan
Marco Guerra – Città del vaticano
Oggi è in programma la ripresa dei colloqui tra Etiopia, Sudan e Egitto sulla diga che Addis Abeba sta costruendo sul Nilo Azzurro; la cosiddetta “Grande diga del Rinascimento”. L’opera sta creando gravi tensioni con i Paesi a valle del Nilo che temono una riduzione della portata d’acqua, che non sarebbe più in grado di soddisfare le esigenze della popolazione, soprattutto egiziana, dipendente in gran parte proprio dalle acque del più lungo fiume del mondo.
La mediazione dell’Unione Africana
Questo nuovo round di colloqui arriva dopo una tre giorni in videoconferenza, ad inizio agosto, tra i rappresentanti dei tre Paesi, con la mediazione dell’Unione africana. Nel frattempo è risuonato in tutto il mondo l’invito di Papa Francesco, pronunciato nel dopo Angelus del 15 agosto, rivolto a Egitto, Etiopia e Sudan, per “continuare sulla via del dialogo affinché il Fiume Eterno continui a essere una linfa di vita che unisce e non divide, che nutre sempre amicizia, prosperità, fratellanza e mai inimicizia, incomprensione o conflitto”.
Appello del cardinale Berhaneyesus
E nei giorni scorsi, in occasione del nuovo anno celebrato secondo il calendario etiope, anche il cardinale Berhaneyesus D. Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba e presidente della Conferenza episcopale cattolica d'Etiopia, ha lanciato un appello al dialogo. “L’acqua è vita – ha detto il porporato – e per questo è giusto darle un alto valore”. Di qui, l’invito alle parti in causa a dialogare, affinché la disputa sulla diga “non porti al conflitto, ma alla comprensione e alla collaborazione per il bene comune di tutti gli interessati”. Dall’Arcivescovo di Addis Abeba anche un ringraziamento per tutti gli sforzi delle organizzazioni internazionali, in particolare dell'Unione Africana.
L'Egitto vuole una base in Somaliland
Avviato dall’Etiopia nel 2011, il progetto della “Grande diga” mira alla costruzione del più grande impianto idroelettrico del continente, pari a 6000 MW di potenza. La diga avrà una capacità di 72 miliardi di metri cubi d’acqua per un valore di 4,6 miliardi di dollari e sosterrà con l'energia prodotta il processo di industrializzazione dell’Etiopia. Sudan ed Egitto restano preoccupati che l’infrastruttura possa diminuire l’approvvigionamento d’acqua verso i loro confini e creare problemi di siccità. I timori di una reazione anche militare sono alimentati dall' incontro del 15 luglio tra una delegazione de Il Cairo e il presidente del Somaliland, per discutere la proposta di una base militare egiziana nella regione. Iniziativa che l’Etiopia ha letto come una minaccia la sua sicurezza nazionale.
Ivardi (Nigrizia): negoziato in stallo
“Il negoziato si trova in una fase di stallo perché il governo centrale dell’Etiopia è alle prese con una greve crisi politica con lo stato del Tigrai (regione del Tigré, ndr) il Sudan è invece colpito da pensati alluvioni, si parla di 500mila persone coinvolte. Quello che spinge di più per una veloce soluzione è l’Egitto, che sta provocando anche forti tensioni, tanto da far parlare alcuni osservatori di una possibile guerra”, così a Vatican News il direttore di Nigrizia padre Filippo Ivardi.
Sempre più conflitti per l’acqua
“Le tensioni si sono acuite, non è un caso l’appello del Papa al dialogo – prosegue Ivardi – l’Egitto mostra i muscoli e si parla di una base nel Somaliland ma anche di una che il Cairo vorrebbe costruire in Sud Sudan al confine con l’Etiopia”. Uno dei punti principali delle diatriba, secondo il direttore di Nigrizia sono i tempi di realizzazione dell’opera: “L’Egitto chiede un riempimento della diga in non meno di 10 anni, gli etiopi vogliono accelerare. E' di una partita tra due colossi da oltre 100 milioni di abitanti, il cui benessere dipende anche dall’acqua. In Africa si giocano sempre più conflitti sull’oro blu”. Infine Ivardi valuta positivamente la mediazione dell’Unione Africana anche se non ha una grande capacità di incidere nel negoziato, al contrario “un parte importante nei negoziati è giocata dagli Stati Uniti, che sono schierati a tutela degli interessi di Egitto e Sudan”.
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