Giornata internazionale della pace dell'Onu: il virus ci ha uniti, ma il mondo è in guerra
Michele Raviart - Città del Vaticano
“Plasmiamo insieme la pace” è il tema della Giornata internazionale delle Nazioni Unite dedicata a questo tema, che si celebra il 21 settembre in tutto il mondo dal 1981 e che prevede l’auspicio di un cessate il fuoco di 24 ore in ogni conflitto in corso. Quest’anno, si legge nel messaggio ufficiale per la Giornata “è stato più chiaro che mai che non siamo nemici l’uno dell’altro e che, piuttosto, il nostro comune nemico è un virus instancabile che minaccia la nostra salute, sicurezza, e il nostro stesso stile di vita”. Una situazione che ci ha ricordato che “quello che succede in una parte del pianeta ha un impatto ovunque”.
Metà del mondo è in guerra
“Quest’anno difronte alla vicenda drammatica della pandemia da Covid-19, abbiamo avuto degli esempi straordinari di collaborazione tra le persone”, afferma a Vatican News Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, proprio oggi confluito nella nuova “Rete italiana pace e disarmo” . “Dobbiamo ricordare purtroppo”, sottolinea Simoncelli, “che esistono nel mondo aree di conflitto. Si parla di decine di Paesi in guerra, in Europa, in Medio oriente, in nord Africa, in Africa subsahariana. Sono 80 i conflitti in corso: metà dei Paesi del mondo stanno soffrendo situazioni drammatiche”.
L'appello di Caritas
Caritas Internationalis, in un appello per la giornata, ha sottolineato la priorità di “porre fine alla guerra e alle violenze in tutto il mondo, e in particolar modo in Medio oriente” e l’importanza di “promuovere il dialogo al fine di trovare una soluzione politica a tutti i conflitti”. “Ancora oggi”, infatti, “vi sono milioni di persone che a causa di guerre e violenze non possono vivere dignitosamente”. In particolare preoccupa la situazione dei giovani, che rischiano di essere reclutati da gruppi armati e milizie e privati così di un futuro pacifico e costruttivo per il futuro dei loro Paesi.
La sanzioni in Siria e Iran
Caritas, inoltre, chiede che vengano rimosse le sanzioni economiche contro la Siria, che non aiutano a promuovere la pace, ma aggravano il conflitto e sono dannose per la pace, incoraggiando i leader a sedersi al tavolo dei negoziati e a garantire gli aiuti internazionali. Proprio il tema delle sanzioni ha diviso in queste ore i Paesi membri delle Nazioni Unite, in occasione della 75 esima riunione dell’Assemblea generale. Gli Stati Uniti hanno deciso unilateralmente di dichiarare nuovamente in vigore le sanzioni con Onu contro l’Iran, sulla base dell’accordo sul nucleare dal quale tuttavia gli stessi Stati Uniti si erano ritirati nel 2018, causando così le reazioni di Unione Europea (Francia, Germania e Regno Unito fanno ancora parte dell’accordo), Russia e Iran. “Gli Stati Uniti non possono avviare il processo per la riapplicazione delle sanzioni Onu”, ha infatti commentato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Joseph Barrell.
Un mezzo poco efficace?
“C’è un grosso dibattito in merito all’efficacia delle sanzioni”, spiega ancora Simoncelli. “Spesso e volentieri le sanzioni vanno a colpire la popolazione e i suoi i bisogni immediati: mancano i medicinali, mancano i generi alimentari e ovviamente mancano soprattutto ai più poveri. Se le sanzioni sono invece mirate ad alcuni determinati beni, come potrebbero essere materiali di alta tecnologia, oppure armamenti, munizioni o altro, potrebbero effettivamente dare un aiuto a bloccare situazioni di conflitto”. “Teniamo presente”, continua, “che però spesso le sanzioni non vengono rispettate da tutti, non ci sono sistemi di sorveglianza e controllo adeguati e a volte alcuni Paesi sono fuori dall’applicazione di queste sanzioni e quindi riforniscono i Paesi in conflitto”.
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