Iraq: la “dissidenza” dell’arcivescovo di Mosul
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Con l’operazione militare guidata dagli Stati Uniti nel 2003 si è aperto un lungo periodo di violenza armata, con fasi diverse, segnate da interventi di potenze straniere, scontri da guerra civile settaria, fino alle dure battaglie tra il governo iracheno e il sedicente Stato Islamico (Is) dal 2014 al 2017. La piena portata dell'impatto delle armi esplosive negli ultimi due decenni sta emergendo solo ora. Traumi psicologici, sfollamenti e povertà si riverberano ben oltre l'impatto iniziale di un'esplosione. L'Unicef ha di recente riferito che circa 4,1 milioni di persone necessitano ancora di assistenza umanitaria, di cui circa la metà sono bambini.
Lo straordinario impegno dell’arcivescovo di Mosul
Durante l’avanzata del sedicente Stato Islamico in Iraq nell’agosto 2014, monsignor Najeeb Michaeel “ha favorito l’evacuazione di cristiani, siri e caldei verso il Kurdistan iracheno e ha salvato oltre 800 manoscritti storici, che vanno dal XIII al XIX secolo”. Per questo motivo il Parlamento Europeo ha deciso di candidarlo al Premio Sacharov 2020, che è stato poi assegnato, la settimana scorsa, ad un altro dei tre finalisti. Il riconoscimento è assegnato ogni anno a "persone e organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali". Per il presule la nomina ha rappresentato “un onore ed un incoraggiamento a tutti gli iracheni”, ma anche un modo “per ricordare tante vittime innocenti".
La sconfitta ufficiale dell’Is
Nel dicembre del 2017 è stata proclamata la sconfitta dell’Is, dopo la caduta di Abu Kamal, roccaforte lungo il confine tra Iraq e Siria. Per la popolazione, dopo 17 anni di bombardamenti, esplosioni, atroci violenze, ora è il momento della speranza, ma restano tensione e paura in una fase segnata purtroppo anche dalle difficoltà della pandemia, come racconta l’arcivescovo caldeo di Mosul, monsignor Najeeb Michaeel:
L’arcivescovo Najeeb Michaeel spiega che Daesh, così come viene chiamato in arabo il sedicente Stato Islamico, sopravvive. Lo strapotere è stato combattuto in Iraq, ma rimangono frange di miliziani. Sottolinea che la predicazione della violenza, che dal Medio Oriente è arrivata in Europa, continua. “L’ideologia esiste tuttora”. Continua l’impegno della popolazione per ricostruire una vera pace. A proposito del Premio Sacharov, afferma che l’essere stato tra i finalisti è stata “una gioia”, perché è stato un riconoscimento non solo per la sua persona, ma per tutti i cristiani che hanno operato insieme con l’arcivescovo a Mosul e in generale per tutti i cristiani che hanno rifiutato la violenza e in special modo l’atroce violenza dell’Is. L’arcivescovo ricorda di aver cercato di difendere vite umane e di aver pensato all’eredità del popolo iracheno e della città di Mosul: “I libri che contengono cultura e valori sono stati messi fuori pericolo”.
“L’odio non è la soluzione, la guerra non è la soluzione”, ribadisce l’arcivescovo che aggiunge: “I cristiani hanno subito persecuzione e sterminio a Mosul e a volte alcuni musulmani che oggi ci chiedono perdono per quello che non hanno commesso loro, ma gli uomini dell’Is: avevano troppa paura per opporsi alle persecuzioni: uccidevano e rapivano figlie e mogli”. Monsignor Najeeb Michaeel sottolinea che quelli dell’Is si dicevano musulmani, ma nessuna religione chiede di macchiarsi di violenze. Le religioni non autorizzano la violenza, ma vengono strumentalizzate. Racconta che tanti cristiani sono fuggiti da Mosul e dalla valle di Ninive e “ancora non tornano, perché non si sentono ancora sicuri: hanno paura”.
Per quanto riguarda il Covid-19, l’arcivescovo sottolinea che è molto diffuso nella sua zona e che nella valle di Ninive in particolare ci sono molti morti. Racconta che i religiosi rispettano le regole di isolamento, assicurano la Messa in collegamento on line per poter arrivare a tutti e poi spiega che escono solo per portare la comunione in alcune case, alcuni villaggi.
La tragedia dei minori
Oltre alla tragedia delle ragazze yazhide usate come schiave del sesso dai miliziani dell’Is, le Nazioni Unite hanno documentato che, tra il 2016 e il 2019, circa 300 minori sono stati reclutati come bambini soldato, 199 di questi sono stati usati come combattenti. Almeno 14 bambini sono stati utilizzati per compiere attacchi suicidi con ordigni esplosivi rudimentali (Ied). L'Is era responsabile della metà delle reclute minorenni, ma una percentuale significativa è stata reclutata anche dalle meno note Forze di mobilitazione popolare. Oggi si stima che circa 800 mila bambini iracheni siano rimasti senza uno o entrambi i genitori: questi bambini rischiano di essere vittime dimenticate della guerra, esposti a rischi considerevoli come il lavoro minorile e la tratta.
Il dramma dei residuati bellici
Sebbene la sconfitta militare dell'Is abbia stabilizzato la situazione della sicurezza, permane il rischio, in particolare per i bambini, sotto forma di residuati bellici esplosivi. In inglese si parla di Explosive remnants of war e, dunque, si identifica il fenomeno con la sigla Erw. Gli ordigni inesplosi si trovano nei campi, nelle case. Le Nazioni Unite hanno scoperto che, durante il 2018 e fino alla metà del 2019, quasi la metà delle vittime infantili (47 %) sono state dovute a Erw nei territori precedentemente detenuti dall'Is. Un altro 40 per cento è dovuto all'uso di ordigni esplosivi improvvisati, Improvised explosive device (Ied). Quando a Mosul sono iniziate le attività di eliminazione dei pericoli di esplosione, il Servizio di azione contro le mine delle Nazioni Unite (Unmas), ha parlato di "entità mai vista prima". Provocano gravi lesioni, disabilità e morte, ma inibiscono anche l'accesso dei bambini all'istruzione e ad altri servizi.
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