Cerca

I cuccioli dell’Isis I cuccioli dell’Isis

La cruda violenza sui cuccioli dell’Isis

Bambini soldato e bambini jihadisti: ruota intorno a questi due fenomeni: “I cuccioli dell’Isis”, il libro del frate cappuccino Stefano Luca, esperto del mondo arabo. Una pubblicazione che offre anche un approfondimento su un programma innovativo che mira, attraverso il teatro sociale, a recuperare i piccoli restituendogli un nome e un futuro

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Rinascere, riprendendosi l’infanzia rubata, cancellare violenze e ferite profonde. Rinascere su un palcoscenico, sentendo di nuovo le vibrazioni di un corpo addestrato per uccidere, ritrovare i profumi di un mondo che ti voleva anestetizzato. Non è una formula magica, non è nemmeno una strada facile, ma è una via possibile quella che nasce dall’esperienza del frate cappuccino Stefano Luca, direttore internazionale del Dipartimento Capuchin Social Theatre, capsocialtheatre.org, e autore del libro: “I cuccioli dell’Isis. L'ultima degenerazione dei bambini soldato”. Pubblicato da edizioni Terrasanta, il volume racconta l’esperienza dei frati in contesti difficili e di conflitto nel riabilitare i piccoli, vittime della violenza di gruppi militari o di quelli terroristici. E’ però anche un libro che riflette l’approfondita conoscenza dell’Islam da parte di fra Stefano e vanta in appendice la traduzione di un testo giuridico contemporaneo che affronta il tema del reclutamento dei bambini nell’Isis. Una novità assoluta per l’Italia.

Il dramma dei bambini jihadisti

La prefazione del libro è curata da monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico latino di Aleppo, che sottolinea il valore della pubblicazione nell’elaborare piani di intervento, ricorda poi il proliferare del fenomeno dei bambini soldato in Africa, Medio Oriente, tra i gruppi islamici estremisti e fondamentalisti, “incutendo paura e al contempo compassione”. Un libro che fra Stefano Luca racconta così:

Ascolta l'intervista a fra Stefano Luca

R.- E’ un libro che nasce da una attività molto concreta. Nel 2016, in seguito all'appello del Papa di pregare per i bambini soldato, noi come Cappuccini ci siamo interrogati su come incarnare questa preghiera e quindi abbiamo progettato un intervento di formazione per gli operatori locali attraverso l'utilizzo di azioni di teatro sociale per quello che riguardava l'Africa subsahariana. Nel 2016 ci siamo recati in Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda, per fare un lavoro di formazione per gli operatori locali e per poter fare riabilitazione e reinserimento con i bambini soldato. Poi facendo altre missioni in Medio Oriente e approfondendo vari studi legati alla teologia coranica, all'arabo, all’Islam abbiamo cercato di capire quali strumenti a livello internazionale avevamo a disposizione per poter affrontare la cura per i bambini figli dell'Isis, in generale i bambini jihadisti. Ci siamo resi conto che a livello internazionale non esistevano studi approfonditi che potessero aiutarci. Non essendoci nulla abbiamo pensato ad un libro che raccontasse e mostrasse anche le differenze e quindi come lavorare con i bambini soldato in Africa e con i bambini jihadisti per esempio in Medio Oriente.

Il titolo è “I cuccioli dell'Isis l'ultima degenerazione dei bambini soldato”. In che senso degenerazione?

R. - Daesh, quindi l'Isis è giunta ad un livello di utilizzo becero di questi bimbi andando oltre a quello che è il portato al quale siamo abituati. E’ l'ultima degenerazione perché cambiano alcune cose veramente fondamentali, tipo il reclutamento è totalmente diverso. Il reclutamento in Africa subsahariana dei bambini soldato è fatto, nella maggioranza dei casi, con la violenza, con la costrizione ad opera del gruppo armato che arriva nel villaggio, lo mette a fuoco e fiamme, prende i bimbi di 9 e 10 anni. Li rapisce e poi opera una sorta di lavaggio del cervello con la violenza. Questa modalità con l’Isis non avviene. Il reclutamento non è attraverso la violenza, non è attraverso l'essere strappati dalla famiglia d'origine ma al contrario parte dalla tua stessa famiglia d'origine. Madre e padre jihadisti che ti allattano sin dal seno materno ad un’interpretazione particolare dell'Islam.

Questo è un semplice esempio, un altro riguarda l'educazione scolastica. In Africa subsahariana i gruppi armati chiudono le scuole, l’Isis invece ha aperto scuole a matrice estremista. Quindi questa è un'altra grande differenza: il bimbo non viene strappato da un’educazione ma viene portato ad avere un’educazione, fin dai primi anni di età, tutta orientata verso l'orizzonte jihadista di Isis. L'ultima differenza riguarda l'elemento religioso: per aumentare la forza del lavaggio del cervello sui bambini soldato in Africa subsahariana, per legarli a sé, per farli combattere i gruppi e le forze armate prendono dei pezzettini di qualsiasi religione: può essere cristianesimo, può essere l'Islam, può essere la religione animista del luogo e poi questi pezzettini vengono deformati e usati per indottrinarti. Nei bambini figli dell'Isis c’è una globalità perché tutto è permeato attraverso quell'orizzonte.

bambino soldato in Africa
bambino soldato in Africa

Quanti sono questi bambini soldato e quanti sono i bambini jihadisti. E’ possibile fare una stima?

R. – Le grandi organizzazioni stimano che siano 250mila i bambini utilizzati per i conflitti armati. Per quanto riguarda i figli dell'Isis, la situazione è complessa. L'Unicef in alcuni report ha stimato che siano più o meno tra i 700 e i mille bambini, nati nei dintorni della Siria e dell'Iraq, quindi sotto il califfato di Daesh, dai foreign  fighters. Però, chiaramente, questa stima è del tutto indicativa e poi non comprende le famiglie locali. Però al di là del numero, il dramma gigantesco e assurdo è che, con i bambini jihadisti se non si interviene, si ha l'assoluta certezza che questi saranno, non tanto i jihadisti di domani, ma i jihadisti di oggi molto più arrabbiati.

Come riparare a questo dramma?  C'è la possibilità anche di intervenire in questi contesti?

R. - Il libro risponde a questi due obiettivi: la grande sensibilizzazione su questo tema non troppo conosciuto e consegnare degli strumenti più specifici a coloro che lavorano in questo ambito, in modo da progettare interventi di cura per questi bimbi. Nell'ultimo capitolo del libro, indico le linee guida di un progetto innovativo, di un intervento che come frati minori cappuccini nel nostro Capuccin Social Theatre stiamo sviluppando specificatamente per i bambini jihadisti. Nell'ultimo capitolo racconto le linee guida che sono sostanzialmente tre grandi blocchi di lavoro.

Il primo è quello che, all'interno del teatro sociale, chiamiamo demeccanizzazione: lo smontare e l’iniziare a riscrivere la grammatica fisica, corporea che loro hanno appreso fin dai primi vagiti sotto Isis; riscrivere la grammatica sentimentale; riscrivere la grammatica relazionale tra pari e con adulti; riscrivere la grammatica di come stare all'interno di una società; la grammatica di una gestione dei conflitti.

La seconda grande fase di questo nostro programma è la famiglia affidataria.  Sappiamo che a livello giuridico, ma in generale per l'Islam, c’è la possibilità di accettare l’affido a patto che non si trasmetta il cognome. Questo secondo blocco poggia sulla possibilità di affidare il bambino, una volta aiutato e smosso dalla demeccanizzazione attraverso il teatro sociale, a una famiglia affidataria in modo da iniziare a riscrivere una grammatica familiare assolutamente diversa, altra, contraria a quella appresa in una famiglia jihadista; chiaramente c’è da fare un lavoro anche con la famiglia affidataria.

L’ultima fase riguarda l'autonomia. C'è un lavoro chiaramente anche comunitario da portare avanti per lo stigma sociale, ma anche nell’accompagnare questo bambino ormai cresciuto a rientrare in società, potendo fare un piccolo lavoro, per esempio, essendo ormai deradicalizzato. Non è facile ma se non si fa qualcosa si ha la sicurezza che questi bimbi saranno i jihadisti non di domani ma di oggi. Se invece si fa qualcosa, riscrivendo le dinamiche partendo dal corpo, perché questo funziona, quindi attraverso il teatro sociale, c'è la possibilità che qualcosa succeda e poi bisogna pure lasciare fare a Dio che apre alla speranza. Questo nostro intervento si inserisce dentro a un progetto più grande che la custodia di Terrasanta dei Frati Minori ha già attivato ad Aleppo e a Damasco e che si chiama: “Un nome e un futuro”. E’ la presa in carico di tanti orfani rimasti lì tra cui anche i figli dell'Isis. Noi come frati cappuccini vorremmo dare una mano per dare degli strumenti, fare un intervento specifico di formazione con il teatro sociale per tentare di fare qualcosa di più.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

26 ottobre 2020, 07:00