Liliana Segre, ultimo incontro pubblico a Cittadella Rondine
Antonella Palermo – Città del Vaticano
La senatrice a vita Liliana Segre è tornata in un luogo del cuore, quello che ha reso concreta l’utopia della sua vita: costruire la pace. Più volte ospite a Rondine Cittadella della Pace, fondata nel 1997 dallo psicologo e suo amico Franco Vaccari, ha desiderato concludere proprio qui trent’anni di testimonianza in giro per l’Italia e non solo, a memoria della sua dolorosa vicenda di deportazione forzata nei campi di steminio nazisti.
L’inaugurazione dell’Arena di Janine
Prima di ripercorrere la sua storia personale, che ha accomunato migliaia di altre donne e famiglie spezzate in un atroce destino, la Segre ha inaugurato l’Arena di Janine, uno spazio laboratorio, moltiplicatore di energie per trasformare il suo pensiero in progetti e azioni di sensibilizzazione. E’ dedicato ad una amica di ‘campo’, morta ad Auschwitz, verso la quale, in quell’orrore, Liliana non riuscì nemmeno a voltarsi. “Gli aguzzini ci volevano come loro – racconta – disumani”. Lavorava ogni giorno con lei, Liliana, ma la mandarono alla camera a gas: “Diventò la donna che avrei potuto essere io, il mio non essere”. Ma la memoria mai è venuta meno e da Rondine, insieme al Ministero per l’Istruzione, oggi è stata lanciata una borsa di studio attraverso il concorso “Vòltati, Janine vive”.
I giovani di Rondine raccolgono il testimone
Phil, dalla Nigeria, è tra i ragazzi che introducono le parole di Liliana Segre: “Da anni c’è la guerra civile nel mio Paese. Sono venuto a Rondine per non cedere all’odio. Non è facile ma ogni giorno scegliamo questa fatica. Vediamo in te, Liliana, l’esempio di una nuova leadership di cui il mondo ha bisogno”. C’è anche Maria Giovanna, dalla Sardegna, che mette in guardia dal pericolo che “il nemico può nascere ovunque”, e Noam Pupko, da Israele, che alla fine dell’incontro ci racconta il suo impegno e la sua commozione, da nipote di un sopravvissuto alla persecuzione nazista:
“Sono molto emozionato. Tanti aspetti della vita si incrociano. Sono diventato padre nove mesi fa. I momenti in cui Liliana ha parlato del rapporto con il padre mi hanno toccato particolarmente. Abbiamo ricevuto un onore. Ho un senso molto forte di responsabilità. Spero di riuscire a mantenere viva la memoria con la ‘M’ maiuscola, quella che dovrebbe rigenerare, riportare la società verso un futuro migliore. E’ questo il nostro lavoro a Rondine - ci dice ancora Noam -: pulire le memorie avvelenate di giovani che hanno vissuto la guerra ma che hanno deciso di opporsi al circolo vizioso della violenza. Mi sento convinto più che mai che la nostra missione è significativa nell’oggi. Liliana -conclude - riesce a rendere la sua storia attuale: è la prova che il suo impegno in tutti questi anni ha avuto un importante impatto”. Gala Ivkovic, dalla Bosnia, racconta il suo lavoro di capo del progetto “Itaca”, a Rondine, rivolto ai giovani italiani che, dopo il loro percorso nella Cittadella della pace, possono dar vita a esperienze di innovazione sociale: "Oggi è stato un momento storico. Sviluppando le relazioni tra le persone si può far crescere la società. Ogni azione individuale si rispecchia nella collettività”.
Liliana Segre: sono stata clandestina, so cos'è essere respinta
Ha voluto ringraziare, da nonna, i ragazzi, quelli che ha definito i “nipoti ideali”. In un racconto di un’ora e mezza, vivido, ancorato alla storia ma fisso sul presente, Liliana Segre ha ricordato la sua “piccola vita interrotta che in un giorno di settembre 1938 l’ha fatta diventare un’altra”. La brusca “espulsione” dalla scuola, che a lei piaceva tantissimo, le sue richieste di spiegazioni, di voler capire: “Una delle cose più crudeli delle leggi razziali fu far sentire ai ragazzi di essere invisibili", racconta. "Io sono stata clandestina sulle montagne, io sono stata richiedente asilo, so cosa vuol dire essere stata respinta”. L’arresto, il carcere femminile a Varese, poi a Como, poi a San Vittore a Milano. L’accudimento verso il padre, in cella con lei per quaranta giorni, il capovolgimento dei ruoli e, al momento della deportazione “verso destinazione ignota”, la solidarietà, l’unica, da parte dei carcerati, “loro erano uomini”. Il silenzio nei vagoni ammassati, l’unica condizione possibile per fare spazio alla propria interiorità. Il terrore all’arrivo al lager in mezzo al groviglio di lingue dei ‘padroni’ e degli ‘schiavi’. “Cominciammo a capire che dovevamo dimenticare il nostro nome, non interessava a nessuno. 75190, il numero tatuato al braccio”.
Ai ragazzi: “Scegliete la vita”
“La paura di ciascuno di fare un passo falso ci rendeva piano piano disumani”, racconta la senatrice. “Sceglievo la solitudine, ma non era questa la mia natura”. La ‘fortuna’, nella tragedia, di andare a lavorare in una fabbrica di munizioni, lasciando le compagne in punizione: una ragione per passare le giornate, farle scorrere, senza orologi, senza poter chiedere nulla. “Scegliete la vita, sempre”: è il monito che arriva ai giovani da questa splendida novantenne. Liliana Segre non teme di fare impliciti riferimenti ai recenti fatti di cronaca, all’uccisione del vent’enne Willy, quando parla della sfrontatezza dei suoi nemici: “Mi ha ricordato certi branchi, certi bulli oggi in cui c’è una sicurezza di essere superiori...”.
“Non ho ucciso”
In un tempo che non conosce le privazioni dell’epoca, la Segre fa proprio l’invito reiterato da Papa Francesco a non cedere alla cultura dello scarto: “Non sprecate il cibo”, dice, raccontando l’abbrutimento di chi, come lei, fu costretto, nella lunga e faticosa marcia verso la liberazione, finanche a gettarsi sui letamai e a mangiare carne di cavalli morti, pur di sopravvivere: “Dov’erano gli uomini? Con la ‘U’ maiuscola? Nessuno”. Liliana è stata tentata di uccidere l’aguzzino; l’ha fermata la primavera, la natura che aveva, nondimeno, proseguito il suo corso: “Fu un attimo e da quel momento sono diventata quella donna libera e quella donna di pace con cui ho convissuto fino ad adesso. Non ho ucciso”.
L’impegno delle istituzioni politiche
La presidente del Senato Maria Alberti Casellati ricorda che “dalle ceneri della Shoah sono nate le premesse di un lungo periodo di pace e di libertà”, ma che bisogna continuare a essere vigili. E invita le giovani donne a imitare la forza, il coraggio, la determinazione e l’eleganza femminile della Segre: “Sappiate trarre ispirazione dalla capacità di raccontare il suo dolore”, dice. “E’ il giorno della grande responsabilità”, rilancia il presidente della Camera, Fico. Il premier Conte coglie l’occasione per invitare a “scacciare dalle nostre coscienze l’indifferenza e le ambiguità”. Dal Parlamento europeo, David Sassoli lamenta che “il virus dell’antisemitismo è ancora molto presente nelle nostre società”. Oltre ai circa 500 presenti, in collegamento ci sono le scuole italiane, di cui la ministra Azzolina è stata portavoce, eredi di un messaggio di speranza in una umanità che non ceda alla brutalità dell’odio. A suggellare l’incontro, l’invio di una copia della Costituzione italiana da parte del capo dello Stato italiano Sergio Mattarella, insieme a una sua lettera idealmente consegnata alle nuove generazioni: “Mai più guerre di aggressione, razzismo, odio, intolleranza”.
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