Si riapre la partita Usa-Russia sul trattato New Start
Fausta Speranza - Città del Vaticano
"La Russia propone di prorogare il trattato New Start per un anno e, allo stesso tempo, è pronta, insieme con gli Stati Uniti, ad assumere l'obbligo politico di congelare un certo numero di testate nucleari possedute dalle due parti per questo periodo". E' quanto scritto in un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca pubblicato online. La Russia quindi chiede che il congelamento delle testate non comporti alcun requisito aggiuntivo da parte degli Usa. "Se questo approccio va bene a Washington, allora il tempo guadagnato grazie all'estensione del New Start può essere utilizzato per condurre negoziati bilaterali globali sul futuro controllo strategico degli armamenti missilistici nucleari con l'obbligo di considerare tutti i fattori che influenzano la stabilità strategica", continua il ministero. "Siamo molto molto vicini ad un accordo", ha detto una fonte dell'amministrazione di Donald Trump, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. Washington ha chiarito che se Mosca è pronta a congelare le testate, c'è tempo poi per negoziati che possano portare ad un nuovo accordo.
Le pressioni degli Usa su Mosca per un rapido accordo
Delle prospettive e dei punti in discussione abbiamo parlato con Luciano Bozzo, docente di relazioni internazionali all'Università degli Studi di Firenze:
Il professor Bozzo spiega che gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dall'accordo New Start, che aveva rinnovato il primo storico patto sul nucleare alla fine della guerra fredda, chiedendo che in una nuova intesa sia coinvolta anche la Cina. Anche Pechino infatti è impegnata a formarsi un arsenale nucleare avendo raggiunto un notevole tasso di crescita economica e avendo assunto un ruolo di peso nel consesso internazionale. Mosca però non sembra propensa ad allargare l'intesa a tre. Dunque questo è uno dei punti in discussione. Bozzo ricorda che altri Stati sono impegnati nel nucleare a vario titolo, ma che non vengono considerati in relazione a un accordo del genere, visto il diverso peso delle strutture di cui dispongono e visto il diverso peso nello scacchiere internazionale. Per quanto riguarda la posizione degli Stati Uniti, lo studioso sottolinea un'evidenza: l'amministrazione Trump sta facendo pressione su Mosca per concludere l'accordo prima del voto del 3 novembre, per presentarsi con un successo diplomatico ottenuto negli ultimi giorni della campagna elettorale. Il professor Bozzo inoltre ripercorre le tappe che hanno portato alla fase attuale e fa una riflessione in tema di multilateralismo. E' ancora un'illusione – spiega – pensare che gli armamenti nucleari possano rientrare sotto il controllo di una sorta di governance globale. Si tratta infatti di questioni strettamente di sicurezza e le grandi potenze non intendono perdere nessun margine di controllo.
Il primo impegno comune dopo la guerra fredda
Intense trattative avvennero tra Usa e Urss a partire dal 1979. Portarono al vertice che si svolse a Ginevra nel novembre 1985 e poi all'incontro, l’8 dicembre 1987, tra il presidente Ronald Reagan e il segretario generale del Partito comunista Michail Gorbacëv, in cui siglarono l’Intermediate range nuclear forces treaty. Il trattato segnò un punto di svolta nel processo negoziale legato al controllo degli armamenti tra le due superpotenze. Per la prima volta, infatti, i sistemi d'arma, oggetto del negoziato, non venivano ridotti o ritirati, ma effettivamente eliminati. In secondo luogo l'Urss accettò una serie di regole e clausole che non aveva mai precedentemente accettato, in primis un rigido sistema di ispezioni internazionali sul proprio territorio. Sulla base delle formulazioni della Dichiarazione congiunta approvata il 10 dicembre 1987, in seguito all'incontro al vertice di Washington, le parti proseguirono i colloqui al fine di mettere a punto un accordo a parte relativo al Trattato ABM. In tale ambito Gorbačëv e Reagan si incontrarono a Mosca nei giorni tra il 20 maggio e il 2 giugno 1988. Nel 1991 le superpotenze adottarono un trattato per la proibizione di questi armamenti - che ora chiamiamo Start 1 - e ne vennero smaltiti quasi 2.700. L'accordo è stato poi rinnovato nel 2009 e si è cominciato a parlare di New Start.
Il ritiro degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti, negli anni successivi, hanno accusato più volte la Russia di violare l'accordo, fino all'accusa formale da parte dell'allora presidente Barack Obama nel 2014. Il New York Times ha parlato nel febbraio 2017 di due battaglioni russi con il nuovo missile a medio raggio SSC-8 equipaggiati con quattro lanciatori mobili, ognuno in grado di lanciare circa una dozzina di testate nucleari. Poi a novembre 2017 il segretario della Difesa degli Stati Uniti, James Mattis, ha denunciato formalmente ai colleghi della Nato tale violazione del trattato. Nell’autunno del 2018 il presidente Donald Trump ha annunciato il ritiro dal trattato, accusando la Russia di non rispettare l'accordo. L'amministrazione statunitense sostiene che il trattato svantaggi il Paese anche nei confronti della Cina, che non è parte dell'accordo e non ha restrizioni nella produzione di missili nucleari a media gittata. A gennaio del 2019, alla riunione del consiglio Nato-Russia c'è stato un reciproco scambio di accuse fra Washington e Mosca, rispettivamente per il sistema Shield europeo e per lo sviluppo del Novator 9M729. Gli Stati Uniti hanno minacciato la loro uscita dall'accordo per alcuni mesi fino ad annunciare formalmente il ritiro il 2 agosto 2019.
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