Somalia, le fragilità del Paese in un dossier Caritas
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Una nazione a frammenti e un popolo senza pace. Appare così la Somalia fotografata da Caritas italiana, che, con dati e testimonianze, fa il punto sulle fragilità e le potenzialità di un Paese in crisi da oltre trent’anni, frammentato in una miriade di clan, più volte ferito dalle violenze jihadiste e con una popolazione resa ancor più vulnerabile dalla pandemia di coronavirus e dai frequenti shock climatici. “Negli ultimi trent’anni – spiega a Vatican News Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana - la Somalia è sempre stata al top dei così detti Stati fragili. Talmente fragile che si può definire uno Stato fallito, in cui le istituzioni non sono in grado di controllare il territorio né di fornire i servizi essenziali alla popolazione”. Nell’analizzare le cause della fragilità del Paese, Caritas pone l’accento sul sistema clanico che non aiuta l’unità nazionale, sulla presenza dei signori della guerra che controllano parte del territorio e poi sulle vicende storiche e politiche susseguitesi alla dittatura di Siad Barre, che non hanno consentito la realizzazione dell’unità nazionale. “Una situazione – prosegue Beccegato - che negli ultimi anni non è migliorata, sebbene il tentativo della Repubblica federale dal 2012 abbia comunque aperto un barlume di speranza, negli ultimi anni c’è stata una crescita del Pil, ma ora con l’irrompere del Covid il quadro economico è stato fortemente compromesso e resta oggi appeso ad un filo”.
Covid-19 e shock climatici
Esposta ai cambiamenti climatici e ai fenomeni meteorologici estremi, la Somalia appare fragile anche dal punto di vista umanitario, con un terzo della popolazione che necessita di assistenza. Nel Paese, che conta circa 12 milioni di abitanti, circa un milione sono i rifugiati che hanno cercato riparo in altri Stati, oltre due milioni e mezzo sono gli sfollati interni, mentre 850mila bambini sotto i 5 anni hanno bisogno di supporto nutrizionale. Caritas sottolinea anche come alcuni suoi progetti siano stati negli ultimi anni relativi ai danni procurati dalla siccità o dalle alluvioni. Recentemente, inoltre, la Somalia è stata fortemente danneggiata dall’invasione di locuste che ha interessato l’Africa orientale e che è considerata dalle Nazioni Unite una “situazione senza precedenti”.
L’eredità di Graziella Fumagalli
La mattina del 22 ottobre 1995, nella domenica che i cristiani nel mondo dedicano alla preghiera per le missioni, la dottoressa Graziella Fumagalli, 51 anni, viene uccisa nel Centro antitubercolare di Merca che l'aveva vista instancabile testimone di carità per 16 mesi. Dall’anno prima, infatti dirigeva questa struttura in Somalia che ospitava 100 pazienti ricoverati e più di 400 ambulatoriali. Un assassinio che fu uno shock per Caritas italiana, aggiunge ancora Beccegato: “In una situazione di crescenti violenze mai si sarebbe potuto immaginare che sarebbero andati a colpire direttamente il centro diretto da Graziella”. Il vicedirettore di Caritas riassume infine l’eredità che la dottoressa Fumagalli lascia a 25 anni dalla sua uccisione: “Un’eredità enorme di una persona che univa competenza, essendo un medico molto preparato, motivazioni, con una testimonianza evangelica, e uno stile discreto e umile di lavorare alla base con i più poveri”.
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