Il Sudan fuori dalla lista degli ‘Stati canaglia’
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Il presidente americano Trump cerca di aprire la strada al nuovo Sudan, dopo 17 anni di dolorosa guerra civile. Lo Stato africano non farà, dunque, più parte dell’elenco dei cosiddetti ‘Paesi canaglia’, che comprende anche Iran, Siria e Corea del Nord, e questo consentirà a Karthoum di accedere ai prestiti internazionali, agli aiuti necessari a risollevare l'economia in difficoltà e a creare un clima di reale democrazia. La decisione americana è però collegata al rispetto dell'accordo, da parte del Sudan, per il pagamento di 335 milioni di dollari alle vittime di terrorismo e alle loro famiglie statunitensi, e giunge a quasi due mesi dalla storica intesa tra governo e gruppi ribelli, che ha messo fine ad un conflitto costato la vita a 300 mila persone.
L'intesa regola questioni fondamentali, come la divisione dei poteri, la sicurezza, le proprietà terriere, il ritorno degli sfollati a causa dela guerra e naturalmente la giustizia di transizione e la smobilitazione delle milizie armate, i cui membri verranno integrati nelle Forze armate nazionali. All’accordo hanno aderito i ribelli darfuriani del Movimento giustizia ed eguaglianza (Jem) e dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla). Anche il Movimento di liberazione del Sudan (Slm) e il Movimento di liberazione del popolo del Sudan-Nord (Splm-N) hanno accettato la pace, ma alcune frange di questo due gruppi non hanno aderito all’intesa.
Il plauso dell'Unione Europea
L’annuncio americano ha riscosso subito l’approvazione da parte europea. L'Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha sottolineato che Bruxelles sostenga pienamente la transizione sudanese e come la decisione Usa, se verrà attuata, potrà accrescere l’integrazione del Sudan nella comunità internazionale e l'accesso all'economia mondiale. Sullo sfondo anche un possibile accordo tra Sudan e Israele, caldeggiato da Washington, che aplierebbe in modo significativo il novero dei Paesi Arabi, dopo Emirati e Barhein, che riconoscono lo Stato ebraico. Il possibile rientro del Sudan nella comunità internazionale, afferma a Vatican News padre Filippo Ivardi, direttore del periodico dei missionari comboniani 'Nigrizia', è un momento molto importante, perche consente al Paese, dopo il lungo conflitto e soprattutto la trentennale gestione del potere da parte del presidente deposto, Omar Al-Bashir, di accedere a tutta una serie di supporti economici internazionali per far fronte ad una crisi molto grave che il Sudan sta vivendo e dalla quale potrà uscire solo grazie all'aiuto di partner all'interno e all'esterno dell'Africa.
Il Sudan guarda a un futuro diverso
Il premier sudanese, Abdalla Hamdok, ha avuto parole di ringraziamento per gli Stati Uniti. Ora ci sarà da attendere la ratifica ufficiale da parte del Congresso americano della revoca della designazione del Sudan come Stato sponsor del terrorismo, che sinora – ha detto il premier – “è costata troppo a Karthoum”. Il capo del governo ha poi ribadito che i sudanesi “sono un popolo che ama la pace e non ha mai sostenuto il terrorismo”. Un futuro più prospero per il Sudan, Paese povero, ma dalle grandi risorse, passa necessariamento - sottolinea padre Ivardi - attraverso la gestione delle stesse. I suoi punti di forza sono la produzione dell'oro e del bestiame e poi non è ancora del tutto chiarito lo sfruttamento dei proventi del petrolio. La maggior parte dei giacimenti si trova in Sud Sudan, ma le raffinerie e le strutture per commercializzare il greggio sono a Port Sudan. Quindi - conclude il direttore di Nigrizia - occorrono ancora colloqui per definire le competenze tra Juba e Karthoum.
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