Nel mondo ancora alto il tributo di sangue dei giornalisti per la verità
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Ancora oggi, purtroppo, basta una breve e rapida lettura delle statistiche del Comitato per la protezione dei giornalisti ( CPJ, organizzazione indipendente con sede a New York) per rendersi conto di come la libertà di stampa nel mondo sia davvero molto lontana dall’essere realtà. Nel20132 La Giornata mondiale per mettere fine all’impunità peri crimini contro i giornalisti, venne istituita dalle Nazioni Unite in memoria di due giornalisti francesi uccisi in quello stesso anno in Mali. Quattro anni prima, era il 2009, nelle Filippine, era avvenuto quello he è conosciuto come il massacro di Maguindanao: 58 persone furono sequestrate e uccise, tra loro vi erano almeno 34 giornalisti, per il CPJ fu l’evento che ha causato nella storia filippina la più grande perdita di giornalisti.
22 i giornalisti uccisi quest’anno, dalla Somalia, al Messico
Non sembra esserci un solo luogo al mondo in cui i cronisti di vario genere non siano in pericolo, vittime di violenza a più livelli. Nel 2020 i giornalisti morti per il loro lavoro sono stati 22, per lo più in Paesi in conflitto o teatro di forti tensioni, come Somalia, Siria, Iraq, Yemen, Afghanistan, Pakistan, ma, nella lista, compaiono anche nazioni afflitte dalla violenza del crimine organizzato, come i narcos in Messico, da quella di gruppi militari e paramilitari, come in Colombia, oppure da violenza comune.
L’Eritrea, il Paese con la maggiore censura per il giornalismo
Nel 2019 sono stati arrestati in vari Paesi del mondo, tra i quali soprattutto Cina, Turchia, Egitto ed Eritrea, 248 giornalisti. Nell’anno in corso, sono 64 i reporter scomparsi, a cominciare dal Messico, seguito da Siria, Iraq, Russia. Il Comitato indica anche i 10 Paesi dove si esercita la maggiore censura, un lista stilata secondo l’utilizzo di detenzione, di leggi repressive, di sorveglianza dei giornalisti, di restrizioni all’accesso a internet e ai social media. Al primo posto c’è l’Eritrea, seguita dalla Corea del Nord, dal Turkmenistan, in questi tre Paesi spiega ancora Il CPJ, i media fungono da portavoce dello Stato e qualsiasi giornalista indipendente viene condotto dall’esilio. Seguono poi Arabia Saudita, Cina, Vietnam e Iran, particolarmente abili nell’incarcerare, molestare i giornalisti e le loro famiglie, così come nel monitoraggio digitale e nella censura di internet e dei social media. A chiudere la lista di chi si fa totalmente “beffe degli standard internazionali” vi sono Guinea Equatoriale, Belarus e Cuba. La pericolosa e difficile condizione di lavoro dei giornalisti in Siria, Yemen e Somalia non si può invece attribuire solo alla censura governativa, quanto dall’esistenza di conflitti violenti, di infrastrutture insufficienti e di attori non statali.
In Europa, 28 reporter assassinati in 5 anni
Un dato altrettanto drammatico è stato fornito dal Consiglio d’Europa, che ha denunciato come, nei 47 Stati membri, negli ultimi 5 anni siano stati uccisi 28 reporter. “Questo è un dato incredibile”, commenta Anna Del Freo, membro del Comitato direttivo della Federazione europea dei giornalisti e segretario aggiunto della Federazione nazionale della stampa italiana, che ricorda l’ultima vittima di questa strage, la giornalista russa Irina Slavina, alla guida di un piccolo sito locale, il “Koza.Press”, conosciuto per il motto “senza censure e ordini dall’alto”, che si è data fuoco davanti alla sede del ministero degli interni, a Nizhnij Novgorod, città a circa 400 km da Mosca per protesta contro le minacce da parte delle autorità della Federazione Russa. “Lei non è stata uccisa materialmente, si è uccisa – spiega la Del Freo – ma è una vittima della volontà di imbavagliare le informazioni. Ce ne sono tantissimi: 28 negli ultimi cinque anni. E poi c’è anche il capitolo carcere che riguarda questi Stati del Consiglio d'Europa, ci sono 115 giornalisti nelle prigioni per esempio della Turchia, dell’Azerbaigian, della Russia, perfino del Regno Unito, dove si sta svolgendo il processo di estradizione di Julian Assange. E in Europa è una cifra incredibile”. Anna del Freo prende l’esempio della Belarus, Paese nel cuore dell’Europa, dove tanti giornalisti che coprivano le manifestazioni di piazza sono stati arrestati e malmenati. La Del Freo ricorda poi Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa nell’ottobre del 2017, i cui mandanti sono ancora da scoprire e che, a causa della violenza telematica, “è come se fosse stata uccisa due volte, perché è stata pesantemente insultata e diffamata via internet, sia prima che dopo essere stata uccisa”.
L’appello all’Ue: basta con i silenzi e con i bavagli
Quello di Daphne Caruana Galizia è uno dei tanti nomi che oggi ancora non hanno avuto giustizia, sono decine in Europa, tra i quali anche quello del giornalista slovacco Ján Kuciak, assassinato, assieme alla fidanzata, nel 2018, dopo aver indagato su frodi fiscali di diversi uomini di affari connessi ad alte sfere politiche slovacche. Un omicidio che ha portato ad una crisi politica, culminata con le dimissioni del premier Fico e della sua coalizione di governo, ma la cui indagine non ha rivelato i mandanti. “Molto spesso – conclude Anna Del Freo – i mandanti delle uccisioni di giornalisti o sono mafiosi collusi in modo molto forte con il potere, oppure addirittura si trovano proprio all’interno del governo”. Sia la Federazione europea dei giornalisti, sia la Federazione internazionale della stampa, che quella italiana, hanno quindi lanciato appelli all’Unione europea “perché non stia in silenzio”, perché non rimanga “ferma” sui vari bavagli, “dalla Turchia, alla Russia”. Sono solo due i Paesi che, finora, hanno adottato piani d’azione per la tutela dei giornalisti, e sono l’Italia e la Svezia. Decisamente ancora troppo poco.
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