Aids: in calo i contagi ma il Covid 19 ritarda diagnosi e cure
Marco Guerra – Città del Vaticano
La lotta all’Aids avanza tra luci e ombre, tra significativi progressi parziali e drammatici peggioramenti in alcune aree del mondo; il tutto mentre la pandemia di Covid 19 rischia di complicare ulteriormente le campagne di prevenzione, di diagnosi e di distribuzione di terapie salvavita, creando rilevanti limitazioni nell’accesso e nella continuità delle cure.
Il tema della Giornata 2020
E’ questo il quadro che emerge nei rapporti delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione mondiale della Sanità e di molte altre realtà impegnate nel contrasto alla malattia, pubblicati in occasione della Giornata mondiale contro l'AIDS, che si celebra il 1 dicembre di ogni anno dal 1988. Le iniziative di questa edizione 2020 si volgeranno all’insegna del tema “Solidarietà globale, responsabilità condivisa”. Le Nazioni Unite prendono atto che la pandemia del Coronavirus ha dimostrato che nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro e che “questa crisi sanitaria, come molte altre, sta colpendo i più poveri e i più vulnerabili”. Quindi lasciare indietro alcune categorie di persone o regioni del pianeta è un’opzione che mette tutta l’umanità a rischio contagio.
I dati mondiali
UNAIDS, il Programma delle Nazioni Unite per l'AIDS/HIV, attingendo ai dati raccolti nel 2019 stima che siano più di 38 milioni le persone che attualmente nel mondo convivono con l’infezione del virus dell’immunodeficienza umana. Di queste, soltanto 25 milioni sono riuscite ad accedere e portare avanti in modo continuativo una terapia antiretrovirale capace di abbassare la carica del virus e cronicizzarlo, e questo avviene prevalentemente nei Paesi più sviluppati. Ancora oggi quindi più di 12 milioni di persone non hanno accesso a trattamenti dell'HIV. Sempre in riferimento al 2019, un milione e settecentomila sono risultati essere i nuovi contagi nel corso dell’anno e quasi 700.000 le morti per malattie e infezioni correlate all’Aids. Il totale delle vittime, da quando è stato riconosciuto l’Hiv nel 1981, è di oltre 35 milioni di persone.
Le conseguenze del Covid 19
“La pandemia COVID-19 sta avendo effetti di vasta portata sui sistemi sanitari e altri servizi pubblici. In molti paesi, i servizi per l'HIV sono stati messi alla prova e le catene di approvvigionamento per i principali prodotti di base sono state allungate”, spiega il rapporto 2020 di UNAIDS da titolo “Prevalere sulle pandemie mettendo al centro le persone”. “In tutto il mondo sono meno le persone a cui viene diagnosticato l'HIV – si legge ancora nel testo - e meno le persone che vivono con l'HIV che stanno iniziando una terapia contro l'HIV”.
Risultati contrastanti
Il fatto che a livello mondiale il numero delle nuove infezioni e delle morti legate all’AIDS è costantemente in calo da un decennio a questa parte potrebbe indurre ad una sottovalutazione del rischio. Il quadro della lotta mondiale all'Hiv fa segnare infatti risultati contrastanti: dal 2010 su scala globale le infezioni sono diminuite del 23% ma i progressi sono stati solo parziali. Il calo è stato del 38% in Africa meridionale ed orientale mentre il numero di malati è aumentato del 21% in America latina, del 22% in Medio Oriente e Nord Africa e del 72% in Asia centrale e Europa dell'Est.
La situazione in Europa
Nel Vecchio Continente allarma la diffusione del virus nei Paesi dell’est. Secondo i dati forniti dall’Oms nella regione Europea nel 2019 ci sono state più di 136mila nuove diagnosi di Hiv. La cifra complessiva è leggermente in calo rispetto all'anno precedente, ma solo il 20% delle nuove diagnosi si sono verificate nel territorio Ue, mentre il resto nella parte orientale del continente. Oltre tutto resta molto grande la quota di persone che scoprono la sieropositività troppo tardi, quando già il sistema immunitario è compromesso e di conseguenza diminuiscono le probabilità di sopravvivenza. In generale nei Paesi dell’Unione Europea il tasso di nuovi casi è in declino del 9% dal 2010, un trend che riguarda anche l'Italia, che nel 2019 ha censito circa 2500 casi di Hiv e 571 di Aids. Nell’Europa occidentale la contaminazione per via sessuale tra uomini è il canale di trasmissione più diffuso mentre nella parte orientale del continente il contagio avviene soprattutto tra eterosessuali e con droghe iniettate per endovena.
L’Italia
Anche in Italia si registra un calo generale dei contagi, con un'incidenza che è lievemente inferiore a quella delle altre nazioni dell'Unione Europea, per un totale di 2.531 nuove diagnosi di infezione da HIV nel 2019. Ma il miglioramento non ha la stessa consistenza nella popolazione più giovane. Il numero più frequente di nuove diagnosi si registra nella fascia d'età 25-29 anni.
L’allarme per l’Africa
L’Organizzazione mondiale della sanità lancia l’allarme anche per l’Africa, dove a causa della pandemia di Covid-19 le mancate cure per AIDS rischiano di far morire altre 500 mila persone entro il 2021 oltre a impedire il raggiungimento dell'obiettivo di porre fine all'Hiv entro il 2030. Uno dei casi emblematici messi in evidenza dall’Oms è quello del Sudafrica, Paese maggiormente colpito dal Covid-19 a livello continentale, dove oltre 5,7 milioni di persone affette da Hiv non ricevono più o ricevono a rilento i farmaci antiretrovirali e altre terapie salvavita. L'Oms chiede la ripresa urgente delle terapie anti-Hiv, ovvero l'approvvigionamento in farmaci e l'accesso dei pazienti ai medicinali per evitare di cancellare i progressi registrati negli ultimi anni.
Bambini e giovani soggetti dimenticati
Una capitolo a parte merita il fenomeno dei contagi tra bambini e giovani under 20, categorie particolarmente fragili, esposte al rischio e poco coinvolte nei programmi di prevenzione nelle popolazioni maggiormente colpite dall’Aids. Di questo ne ha parlato Unicef in un nuovo rapporto secondo cui, nel 2019, quasi ogni minuto e 40 secondi, un bambino o un giovane sotto i 20 anni è stato contagiato dall'HIV, portando il numero totale di bambini e giovani che convivono con l’HIV a 2,8 milioni. Lo scorso anno, sono morti per AIDS circa 110.000 bambini; 150.000 tra i 0 e i 9 anni sono stati contagiati dall’HIV, portando il numero totale per questa fascia di età a 1,1 milioni; mentre sono 170.000 gli adolescenti, tra i 10 e i 19 anni, contagiati, che portano così il numero totale per questa fascia di età a 1,7 milioni. Più colpite sono le ragazze adolescenti, categoria che conta 130.000 nuovi positivi rispetto ai 44.000 contagiati maschi della stessa fascia di età.
Le cure negate
Il rapporto Reimagining a resilient HIV response for children, adolescents and pregnant women living with HIV sottoliena che i bambini vengono lasciati indietro nella lotta contro l’HIV. Gli sforzi per la prevenzione e la cura dei bambini rimangono tra i più bassi nelle popolazioni maggiormente colpite. Nel 2019, poco più della metà dei bambini nel mondo ha avuto accesso a cure salvavita, un tasso significativamente basso rispetto alla copertura delle madri (85%) e di tutti gli adulti che convivono con l’HIV (62%).
Disparità regionali
L’Agenzia Onu per l’infanzia ricorda anche le profonde disparità regionali nel trattamento dei bambini sieropositivi, “nonostante i progressi negli anni di lotta contro l’HIV e l’AIDS”. La copertura pediatrica delle cure antiretrovirali è più alta in Medio Oriente e Nord Africa (81%), seguiti da Asia meridionale(76%), Africa Orientale e Meridionale (58%), Asia dell’Est e Pacifico (50%), America Latina e Caraibi (46%) e Africa Occidentale e Centrale (32%).
Drastico calo cure durante il lockdown
Anche per i più giovani l’effetto della pandemia è stato devastante. Stando ai dati di UNAIDS, Tra aprile e maggio, in coincidenza dei lockdown parziali o totali, le cure pediatriche contro l’HIV e i test della carica virale per i bambini in alcuni paesi sono diminuiti tra il 50% e il 70% e gli inizi di nuove cure sono diminuiti del 25-50%. Analogamente, anche il parto in strutture sanitarie e le cure per le madri sono diminuiti del 20-60%, i test dell’HIV per le madri e l'avvio alle cure antiretrovirali sono diminuiti del 25-50% e i test per i neonati sono diminuiti di circa il 10%. L’allentamento delle misure anti-covid ha portato a una ripresa dei servizi negli ultimi mesi, ma le Nazioni Unite ritengono che il mondo è ancora lontano dal raggiungere gli obiettivi pediatrici globali 2020 per l’HIV.
L’appello ai governi
Il rapporto Unicef chiede quindi a tutti i governi di proteggere, sostenere e accelerare i progressi nella lotta contro l’HIV nei bambini attraverso servizi sanitari essenziali e rafforzando i sistemi sanitari. Anche l’Onu con la scelta dello slogan per il 2020 (Solidarietà globale, responsabilità condivisa) lancia un appello per un accesso universale alle cure e per maggiori risorse finanziarie da dedicare ai servizi sanitari.
Cauda (Università Sacro Cuore): è cambiata la percezione
Roberto Cauda, ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Sacro Cuore di Roma, al microfono di Eliana Astorri ricorda che l’Aids può essere considerato una pandemia a tutti gli effetti che “si è diffusa con una velocità molto minore di quella di Covid-19, ma ha, praticamente, colpito tutto il mondo, causando la morte di milioni e milioni di persone”. “Tutto questo - fa notare l’infettivologo -, in qualche modo, pur non avendolo dimenticato, non è più così evidente come negli anni ‘80 e ’90, quando si facevano le aperture dei telegiornali sull’Hiv e sull’Aids”.
Malattia curabile
Cauda riconosce che “le cose sono cambiate molto” poiché c'è una maggiore attenzione ma, soprattutto, “c'è una possibilità di curare, non ancora di guarire, perché l'eradicazione non è ancora possibile”, ma la malattia si cura. “C'è stato un cambiamento epocale con le terapie - aggiunge -, che sono diventate sempre più semplici, sempre più ben tollerate, direi sempre più accessibili alle persone”. Dunque secondo l’infettivologo, nonostante ci siano ancora degli squilibri nel mondo, la situazione, rispetto ai primi anni 2000, è molto migliorata, c'è una maggiore coscienza, a livello anche globale, della necessità di dover affrontare il problema dell’Aids.
Non distogliere risorse da lotta AIDS
Anche il professore dell’Università Sacro Cuore teme però che le risorse che vengono spese per Covid-19 vadano a scapito di altri approcci, ad esempio, non ultimo, “per la fornitura di farmaci, nei Paesi a risorse limitate, per il controllo della tubercolosi, dell'Aids, di quelle malattie che in quelle zone sono veri e propri flagelli”. Per questo motivo Cauda ritiene importante la celebrazione del 1 dicembre, come mezzo per ricordare che tutti i malati meritano il massimo dell'attenzione.
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