La voce dei missionari in Centrafrica, all'indomani del voto
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Il Centrafrica si interroga sul suo futuro. Le elezioni di domenica, presidenziali e legislative, si sono svolte in un clima di alta tensione, con il governo e l’ONU che si sono opposti questo mese alla richiesta dei ribelli di rinviare il voto. Il presidente Touadéra ha accettato l’aiuto di Paesi stranieri per cercare di mantenere la sicurezza sul territorio. La scorsa settimana tre caschi blu del Burundi sono stati uccisi e altri due feriti a Dékoa, come riferito dalle Nazioni Unite, che hanno condannato con forza gli attacchi compiuti da "combattenti armati non identificati" che hanno interrotto un cessate il fuoco, annunciato proprio in vista del voto.
Gli attacchi
Una coalizione di gruppi armati, la Coalizione dei patrioti per il cambiamento (CPC), ha intensificato gli attacchi dopo la decisione della Corte costituzionale di escludere dai candidati l’ex presidente François Bozizé, appoggiato dai ribelli e avversario dell’attuale presidente, Faustin Archange Touadéra, che invece cerca un secondo mandato. Il suo principale sfidante è Anicet-Georges Dologuélé, ex primo ministro appoggiato da Bozizé.
Un momento storico
L’importanza di queste elezioni è stata sottolineata più volte dalla comunità internazionale. Già ad ottobre, nel suo intervento al Palazzo di Vetro sulla situazione centrafricana, l'Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu a New York, monsignor Gabriele Caccia, ha esortato tutti i cittadini del Paese africano “di ogni ceto sociale, indipendentemente dall'origine etnica, dall'appartenenza religiosa o dalle convinzioni politiche”, a promuovere lo sviluppo integrale. Anche in vista delle elezioni che la Santa Sede auspicava essere “pacifiche”, perché per la popolazione, ha aggiunto in quell’occasione monsignor Caccia, è giunta l’ora di “iniziare a scrivere insieme un nuovo capitolo della storia del Paese”. Nella settimana che ha preceduto il voto, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato l'escalation della violenza e chiesto a tutti gli attori di cessare con urgenza ogni ostilità, nell’interesse della popolazione centrafricana.
Trovare un compromesso
“Credo che la popolazione abbia coscienza dell’importanza di non fare passi indietro. Non so se con le elezioni di ieri si è scritta una pagina di storia, ma so che si deve trovare un compromesso perché il timore della gente è di tornare al 2013, quando qui c’era la guerra”. Lo afferma padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo, da quasi 12 anni a Bangui, dove lo abbiamo raggiunto telefonicamente:
“Qui, nella capitale si è votato regolarmente. Anch’io ho visto personalmente file di persone in attesa di esprimere il loro voto. Purtroppo lo stesso non è accaduto in altri centri urbani, in altri luoghi dove i combattenti - spiega il missionario - hanno limitato o addirittura impedito il voto”. “Attendersi delle elezioni democraticamente perfette dopo quanto accaduto negli ultimi mesi era difficile, ma se l’alternativa è il caos o la guerra, allora - sottolinea - si trovi un compromesso. Le persone hanno paura di tornare al 2013”. “Una bella pagina di speranza fu scritta qui - ricorda padre Trinchero - nel 2015, quando venne Papa Francesco. Oggi anche i miei confratelli sono un po’ giù, parlo di sacerdoti di venti, massimo trent’anni che hanno conosciuto solo conflitti, guerre, tensioni, terrorismo. Abbiamo tanto bisogno di speranza”.
L’accordo del 2019
Nonostante l’accordo di pace firmato a Bangui nel febbraio 2019 tra il governo nazionale ed i gruppi armati, in Centrafrica persistono tensioni e scontri violenti, tanto che permangono numerosi sfollati ed elevate esigenze umanitarie. Il clima di terrore è una sfida quotidiana per il Paese, come testimoniato dai caschi blu dell’Onu dispiegati dinanzi ai seggi elettorali nella giornata di ieri.
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