In Israele, sciolto il Parlamento, si va verso nuove elezioni
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Israele si avvia verso le elezioni politiche per la quarta volta in due anni. La Knesset, il parlamento nazionale, si è sciolta dopo che il governo non è riuscito ad approvare il bilancio, rinnovando la crisi politica nel Paese. Termina, dunque, l’intesa tra il Likud di Benjamin Netanyahu e il partito Blu e bianco di Benny Gantz, che a maggio scorso avevano dato vita a un governo di unità nazionale. Una coalizione, quella tra i due leader fino ad allora avversari, nata anche per la necessità di rispondere alla diffusione della pandemia da coronavirus. Di crisi annunciata parla a Vatican News Giorgio Bernardelli, giornalista di Mondo e Missione ed esperto di questioni mediorientali: “Questo governo, presentato come di unità nazionale, tra Netanyahu e Gantz, in realtà nasceva debolissimo. Gantz si ritrova oggi con un partito che, da forza di primo piano nella politica israeliana, i sondaggi danno difficilmente rieletto alla prossima Knesset”. In una situazione politica che si presenta intricata, Bernardelli sottolinea la sostanziale spaccatura in due del Paese, dove si stanno aggregando nuove forze politiche.
Le ipotesi sul futuro governo
A causa del clima di incertezza, resta difficile fare previsioni sul governo che uscirà dalle prossime elezioni fissate a marzo, quando, per la quarta volta da circa due anni, gli israeliani saranno chiamati alle urne. Il panorama politico del Paese, ha visto, tra l’altro, nelle ultime settimane, una scissione interna al Likud, il partito del premier, mentre il leader dei laburisti, Amir Peretz, ha annunciato oggi la decisione di lasciare la guida del partito dichiarando: "In questo momento il Labour ha bisogno di un rilancio e deve scegliere un nuovo presidente". “Netanyahu stesso – dice Bernardelli - ha in qualche modo innescato il meccanismo che ha portato alle elezioni, perché credeva di poterne uscire vincitore. Ma si è trovato in queste ultimissime settimane a fare i conti - prosegue - con una scissione interna guidata da Gideon Sa’ar, il suo antagonista interno al Likud che è stato da lui sconfitto alle ultime primarie e che ha deciso di fondare un nuovo partito, dicendo molto chiaramente che non entrerà in un nuovo governo con Netanyahu. E i sondaggi in questo momento sembrano dargli molta forza”. L’esito più probabile delle elezioni, osserva l’esperto dell’area mediorientale, sarà dunque un ennesimo stallo in cui sarà molto difficile trovare una maggioranza, considerando anche il fatto che nel sistema politico israeliano vige il proporzionale puro.
Le ricadute sui rapporti con i palestinesi
Se i rapporti di Israele con i palestinesi si trovano ormai da tempo in stallo, Bernardelli segnala che l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti rappresenta una novità all’orizzonte su cui i palestinesi contano molto per riavviare in qualche modo un quadro negoziale diverso rispetto ai termini in qualche modo segnati dalla presidenza Trump. “Finché Israele non esce da questa crisi politica – dice ancora Bernardelli - e non c'è una leadership che abbia idee chiare sulla direzione rispetto a questo tema, anche molto banalmente che metta il tema all’ordine del giorno della sua politica, è una situazione che non potrà che restare bloccata”.
L’impatto della crisi sugli accordi esterni
Diversa, invece, l’analisi del giornalista circa le conseguenze che la crisi politica israeliana potrà avere sui rapporti esterni, dopo la stipula degli accordi di Abramo con Emirati Arabi e Bahrein e la normalizzazione dei rapporti diplomatici con il Marocco. ”Gli accordi di Abramo – specifica - sono un grande risultato politico portato, come dire, alla sua definizione da Donald Trump e Benjamin Netanyahu, che indubbiamente hanno avuto un ruolo di primo piano in questo processo, però quello che loro hanno fatto è stato portare alle estreme conclusioni, in qualche modo dare una spallata, a un processo che viaggiava anche per altre ragioni. Sono sostanzialmente anni che questo processo di avvicinamento tra Israele e Paesi del Golfo andava avanti sottotraccia e io credo che andrà avanti comunque, al di là della probabile prospettiva di un cambiamento di leadership”. L’eventuale uscita di scena di Netanyahu, per Bernardelli, non bloccherà quindi questo processo, che ha ragioni geopolitiche profonde e che se rinquadrato in un'altra prospettiva, magari con qualche concessione negoziale e una riapertura del tavolo di trattative, in qualche modo, con l'autorità Nazionale palestinese, potrà avere risvolti anche inaspettati in Medio Oriente.
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