I pescatori di Mazara del Vallo, Mogavero: il Mediterraneo ritorni un mare d'incontro
Michele Raviart - Città del Vaticano
Sono rientrati domenica mattina nel porto di Mazara del Vallo i 18 pescatori detenuti per 108 giorni in un carcere libico. Un viaggio di 57 ore da Bengasi alla Sicilia che ha portato i due pescherecci Antartide e Medinea finalmente a casa, scortati da una nave della Marina militare italiana. Ad accoglierli, annunciati dalle sirene delle altre imbarcazioni e da diciotto colombe bianche, i loro famigliari e il sindaco della cittadina del trapanese.
Nessuna violenza fisica
Dopo i controlli sanitari – tutti negativi i tamponi – e gli abbracci commossi dei parenti, i pescatori - otto tunisini, sei italiani, due indonesiani e due senegalesi – sono stati interrogati dai Ros nella caserma dei carabinieri di Mazara del Vallo, per conto della procura di Roma che sta indagando sull’accaduto.“Più volte ci hanno detto che stavano per liberarci, ma poi ci trasferivano in un altro carcere”, è stata la dichiarazione di Pietro Marrone, comandante del Medinea. Tutti hanno confermato di non aver subito violenze fisiche. Non sono mancate purtroppo violenze psicologiche e umiliazioni. “Siamo stati trattati malissimo”, ha ribadito Marrone, parlando di cibo scadente, celle buie e sporche e di essere stati settimane a piedi nudi. Su tutto pesava anche l’essere all’oscuro di quello che stava succedendo fuori. Il marinano dell’”Antartide” Gira Indra Gunawan ha ricordato come i carcerieri avessero esplicitamente legato il loro destino a quello di quattro libici detenuti in Italia e condannati per essere gli scafisti di un barcone naufragato davanti alle coste siciliane. Una circostanza smentita dal Ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio, che ha ribadito come “la liberazione dei nostri pescatori è avvenuta senza cedere nulla in cambio.
Monsignor Mogavero: le nostre preghiere sono state accolte
Tra le persone presenti al porto per attendere il ritorno dei marittimi anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo che, nell’intervista di Luca Collodi, racconta nel dettaglio l’arrivo dei pescatori:
R. - Stamattina (ieri, ndr) sono stato su una motovedetta della capitaneria di porto per andare incontro alle due barche. Li abbiamo incrociati e li abbiamo agganciati a 10 miglia da Mazara del Vallo. Ho avuto modo di sentire i due equipaggi via radio e dare loro il primo benvenuto e il saluto, emozionato da parte mia, ma meno da parte loro perché avevano già pianto tanto - mi hanno detto - e quindi in quel momento erano abbastanza "ferrati" dal punto di vista sentimentale. Certo, poi l'incontro con i famigliari li ha sciolti nuovamente, ma era giusto e è bello che fosse così. Anche il cielo ha accompagnato con la sua pioggia. Incredibilmente Mazara del Vallo ha riservato una mattinata di pioggia continua, ma è stata una pioggia di buon auspicio. È stata una pioggia che si è unita alle emozioni di tutti ed era quasi l'emozione del cielo che salutava così il ritorno di questi figli, fratelli e amici.
Monsignor Mogavero, è stato un inatteso dono di Natale, questo della liberazione dei pescatori?
R.- Sicuramente. Nessuno si immaginava tre giorni fa che all'improvviso si risolvesse una faccenda che appariva oltremodo intricata e la cui soluzione appariva estremamente lontana. È stato veramente un dono di Natale e i famigliari di questo ne sono perfettamente convinti. Le loro preghiere, le due veglie di preghiera che abbiamo fatto perché si accelerasse questo giorno e questo momento sono state accolte. Hanno patito tanto, hanno sofferto tanto. Hanno avuto anche momenti di rabbia, ma sempre tutto con grande dignità e hanno meritato questo giorno, veramente. Sono donne formidabili: madri, mogli, sorelle, figli e figlie, e lo hanno sottolineato con la loro forza d'animo, che non è mai venuta meno. Non sono mai entrati in depressione. Hanno avuto momenti anche concitati, soprattutto quando sembrava che i nostri subissero un'ingiustizia a motivo della liberazione quasi istantanea di quel cargo turco che nel giro di pochi giorni aveva potuto riprendere il mare. Hanno sentito la vicinanza delle istituzioni, dell'amministrazione comunale, anche della Chiesa, che ha voluto essere una Chiesa che si è fatta prossima. Come un buon samaritano - non è fuori luogo dirlo - siamo venuti incontro alle loro esigenze spirituali, nell'ascolto delle loro giuste rivendicazioni, anche dei loro sfoghi, e abbiamo anche dato una mano d'aiuto per quelle che potevano essere le necessità del quotidiano.
Da non dimenticare anche gli appelli di Papa Francesco...
R.- Assolutamente. Ed è stato un momento molto importante. A quel punto veramente hanno capito che c'era tutto un mondo, un mondo ecclesiale, un mondo umano che si stringeva attorno a loro, che comprendeva il loro dolore e che nella preghiera, nell'ascolto, nell'invito anche ad offrire e ad accettare questa sofferenza, ha trovato nelle parole del Papa un'eco formidabile. Non lo dimenticheranno mai che il Papa si è chinato su di loro. Io spererei di poter fare in modo, se le condizioni lo permetteranno e se il Santo Padre ce lo concederà, di poterli fare incontrare col Papa per dire personalmente il loro grazie di cuore per questo interessamento. Speriamo che ciò possa essere possibile. Sarà veramente un momento molto importante e che darà il segnale di quanto queste persone umili, ma di grande cuore, tengono tanto al loro rapporto con la Chiesa e con la fede.
Questa vicenda che cosa ci insegna?
R.- Ci insegna soprattutto una cosa, che ormai è diventata una urgenza ineludibile, e cioè quella di ridare a questo nostro mare i suoi connotati di “mare di incontro”, di pace e di scambio. Che i nostri pescatori debbano, oltre ai rischi del loro mestiere, mettere nel conto anche l'assalto di uomini e mezzi che mettono a repentaglio la loro vita o che li conducano in un carcere duro come è stato il loro, oggi è inconcepibile. Credo che il governo italiano debba farsi promotore di un’iniziativa internazionale che risolva finalmente la questione delle acque territoriali. Per il diritto internazionale le acque territoriali si estendono 12 miglia oltre la costa. La Libia li ha allargati fino a 74 miglia ed è un’iniquità che non può durare oltre, perché questa situazione di palese violazione delle norme internazionali rende particolarmente pericoloso il lavoro dei nostri naviganti. Il mare Mediterraneo è un mare di pace. Che sia anche un mare di concordia dove ognuno possa liberamente esercitare il suo lavoro e le sue missioni di pace e non dimentichiamo la grossa problematica dei migranti. Che tutto questo possa dare un tono di umanità, che questo mare da sempre ha rivestito nei secoli.
Le prime parole che lei ha ascoltato dai pescatori liberati in arrivo a casa...
R.- Sono state espressioni di gioia e di gratitudine per tutti coloro che hanno preparato questo momento. Hanno dimenticato le loro sofferenze per dire grazie a coloro che si erano adoperati ognuno per la propria parte per affrettare questo momento di gioia. E l'effetto è bello perché è l'animo genuino dell'uomo di mare.
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