Voto in Romania: si dimette il primo ministro Orban
Fausta Speranza – Città del Vaticano
In un discorso televisivo, il primo ministro romeno uscente Ludovic Orban, conservatore europeista, ha annunciato le sue dimissioni dopo che il suo Partito liberale (Pnl) alle elezioni legislative di ieri ha ottenuto meno del 25 per cento dei consensi. Oltre il 29 per cento è stato raggiunto dal Partito socialdemocratico (Psd) che in Romania è su posizioni antieuropeiste e sovraniste. Si tratta di un risultato imprevisto. Un altro dato sorprendente è rappresentato dall'astensione: soltanto il 31.84 per cento si è presentato a votare, la percentuale più bassa mai registrata.
In ogni caso, nonostante che siano in testa nello spoglio, i socialdemocratici quasi sicuramente resteranno tagliati fuori dalle alleanze in vista del nuovo esecutivo. I liberali di Orban, appoggiati dal presidente Klaus Iohannis, possono contare sull'appoggio di USR-Plus, formazione moderata di centrodestra alla quale è andato il 15.04 per cento, e degli altri due soli partiti che sono andati oltre lo sbarramento del 5 per cento: il partito nazionalista dell'Aur (8.26 per cento), nato un anno fa, e l'UDMR, il partito della minoranza ungherese, che con il suo 7.42 per cento è pronto a collaborare in un'alleanza di governo.
Per una riflessione sul voto abbiamo intervistato Antonello Biagini, docente di Relazioni Internazionali all'Università Sapienza di Roma:
Cresce la sfiducia dei romeni
Per quanto riguarda l'orizzonte politico che questo voto apre, il professor Biagini ricorda che il partito liberale alla guida del governo, anche se non avrà la maggioranza potrà contare un'altra volta sulle alleanze. Si tratta di una situazione - spiega Biagini - che si ripropone in realtà da tempo in molti Paesi europei. E c'è poi la forte affermazione del partito di estrema destra e, anche in questo caso, Biagini sottolinea l'analogia con altri risultati elettorali degli ultimi anni in altri contesti. In particolare, a proposito della affermazione dei socialdemocratici quale primo partito, lo studioso ricorda che è soltanto un recupero rispetto alle perdite degli ultimi decenni e che conferma lo scontento di quanti, pur senza voler tornare al regime comunista, vogliono però esprimere il loro disappunto per alcune promesse fatte dalla democrazie e non mantenute, come - cita Biagini - tante opere infrastrutturali. Certamente al momento c'è il fattore Covid-19 che complica la situazione già difficile della crisi economica, anche perché non c'è stata una vera gestione inizialmente della crisi, ricorda il docente. Anche per la estrema destra si deve parlare di voto di protesta, con caratteristiche che - dice Biagini - ci riportano a formazioni simili in Polonia e in Ungheria. Ma quello che davvero preoccupa - afferma - è il dato della bassa affluenza, perché in qualche modo esprime un triste scollamento dai meccanismi democratici, una sorta di crescente sfiducia. Nello spoglio delle schede non sono ancora conteggiati i voti dei romeni all'estero, storicamente vicini ai partiti di centrodestra.
(Ultimo aggiornamento 7 dicembre 2020, 19.23)
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