Il gesto estremo dell'ambulante in Tunisia e le "primavere" arabe
Fausta Speranza - Città del Vaticano
Il giovane ambulante Mohamed Bouazizi, di fronte all'ennesimo sopruso ricevuto da agenti delle forze dell'ordine e di fronte all'ennesima porta chiusa trovata alla Procura competente, la mattina del 17 dicembre 2010 compie il gesto estremo di darsi fuoco, che gli costerà la vita 18 giorni dopo e che verrà ripetuto da altri. Lo fa nella sua Sidi Bouzid, località alla periferia dei centri vitali del Paese. Eppure da lì accende la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini: in poco meno di un mese, il 14 gennaio 2011 cade il regime del presidente Ben Ali. Dieci anni dopo la Tunisia è un Paese trasformato. Nei primi mesi del 2011 è fermento in tanti Paesi del mondo arabo. A partire dalla definizione di “primavere arabe”, è chiaro il bagaglio di aspettative che le proteste, che si dispiegarono tra Nord Africa e Medio Oriente nel 2010-2011, portavano con sé. Le narrazioni sui social dei Paesi interessati di quei giorni e le cronache dei media occidentali erano piene di speranze.
Il bilancio dieci anni dopo
A dieci anni di distanza, gli analisti concordano nel ritenere che solo in Tunisia si possa parlare di successo per l’avvenuta transizione e il consolidamento della democrazia, con un modello consociativo che ha permesso una gestione efficace delle tante, spesso strutturali, fratture interne che, ai tempi dell’assemblea costituente e le elezioni del 2014, rischiarono di far deragliare la transizione. La transizione democratica è stata appesantita da una crisi economica strutturale e messa a dura prova dal terrorismo: il 18 marzo 2015 l’attentato al Museo del Bardo nella capitale è costato la vita a 24 persone, tra cui 21 turisti, un agente delle forze dell'ordine e due terroristi. Si tratta dell'attentato terroristico con il maggior numero di vittime avvenuto a Tunisi. Ha bloccato per diverso tempo il turismo che proprio mentre riprendeva è stato sospeso dalla pandemia. Purtroppo al di là della Tunisia la storia è diversa. Si ritrovano conflitti, macerie o situazioni di turbolenza sociale preoccupanti, mentre l'emergenza della pandemia ha steso dappertutto un velo di urgenza per gli esasperati bisogni umanitari.
Degli sviluppi in questi anni abbiamo parlato con Francesca Maria Corrao, docente di lingua e cultura araba all’Università Luiss:
La professoressa Corrao spiega che non si può più parlare di “primavere” sottolineando la sua scelta di intitolare il suo lavoro edito da Mondadori Università già nel 2011, con un titolo che richiama altre espressioni, precisamente: “Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea”. Di questo si tratta. Corrao ricorda il contesto culturale a ridosso di quel dicembre 2010, in particolare la visita dell’allora presidente statunitense Obama a Il Cairo l’anno precedente e anche le massicce proteste che avevano portato alla morte di una ragazza in Iran. In quel contesto – spiega – nascono i movimenti di ribellione che grazie ai social compattano la protesta. Ma poi gli sviluppi – sottolinea la studiosa – sono ben distinti nei diversi Paesi.
L’eccezionalità tunisina
Sulla situazione in Tunisia Corrao ricorda che già al momento della rivoluzione post-coloniale la Tunisia si era distinta perché non erano andati militari al Paese come in altri territori. Questo ha segnato lo sviluppo sociale. Altra considerazione di fondo: ogni rivoluzione, che rappresenta uno slancio in avanti, poi è seguita da rimbalzi di conservatorismo, che – spiega – bisogna vedere fino a che punto segnano il ripiegamento. In Tunisia al momento dell’affacciarsi dopo il voto dell’onda conservatorista nel partito di Ennhada, la società civile ha reagito, e – cita la professoressa – soprattutto le associazioni di donne e quelle dei sindacati hanno difeso i basilari diritti che si stavano acquisendo. E questo – sottolinea – anche proprio perché in Tunisia già dai tempi del postcolonialismo le donne godevano di diritti in modo molto più ampio rispetto ad altri Paesi. La professoressa ricorda che non a caso nel 2015 il premio Nobel per la pace è andato a quattro protagonisti di questo mondo dell’associazionismo per la loro importante pacifica battaglia civile. Da lì il percorso di una nuova Costituzione e il coinvolgimento appunto della società civile. Fino alla prova di maturità democratica e organizzativa rappresentata dalle elezioni presidenziali e parlamentari del 2019.
Le difficoltà economiche
In questo contesto, l’economia è certamente una nota estremamente dolente: alla debolezza dei governi che si sono succeduti in questi anni, e alle difficoltà nell’implementare riforme capaci di dare una spinta sistemica alla crescita economica, si è poi aggiunto il peso dell’instabilità regionale e del terrorismo, che ha messo in ginocchio l’industria del turismo dopo gli attacchi terroristici del 2015. Quando la situazione sembrava pronta a migliorare, con i numeri del turismo nel 2019 estremamente positivi, la crisi globale del Covid-19 ha distrutto le speranze che si erano accumulate.
L’ombra del terrorismo
Inoltre – mette in luce Corrao - , questo percorso politico è avvenuto in una regione destabilizzata, e le cui onde di instabilità hanno colpito la Tunisia al cuore: il Paese è riuscito a salvare la propria transizione nonostante il peso del terrorismo, che lo ha colpito al cuore nel 2015 e si è poi palesato in forme meno sofisticate ma non per questo meno pesanti, come dimostrato dalla tensione emotiva del 27 giugno 2019, quando una serie di attentati colpirono Tunisi mentre voci incontrollate davano il Presidente Beji Caid Essebsi morto. Queste notizie erano false, e molti tunisini, nei giorni successivi, si chiesero chi avesse avuto interesse ad annunciare un qualcosa del genere in un giorno come quello. Che il presidente non stesse bene, però, data anche la sua veneranda età di 92 anni, non era un mistero. E morirà un mese dopo.
L’onda della controrivoluzione che ha prevalso altrove
In altri Paesi– sottolinea Corrao – non è stato uguale. Quell’onda di ritorno che caratterizza le rivoluzioni per esempio in Egitto ha fatto sì che, attraverso diverse vicissitudini, prevalesse l’anima conservatrice. Se poi si guarda ad altri Paesi – riconosce Corrao – si vedono macerie: in Siria siamo al decimo anno di guerra e anche se le armi da un po’ tacciono non c’è ancora pace e ricostruzione sociale e in Libia è tutto come in bilico mentre sono prevalse finora le forze più conflittuali.
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