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A sinistra, la presidente di turno Ue Merkel, la presidente della Commissione Ue von der Leyen, il presidente dell'Europarlamento Sassoli A sinistra, la presidente di turno Ue Merkel, la presidente della Commissione Ue von der Leyen, il presidente dell'Europarlamento Sassoli 

Non solo economia: l'Ue a 27 può essere più incisiva

Domenica 13 dicembre termine ultimo per i negoziati sulla Brexit: incertezza sulle relazioni commerciali future tra Londra e Bruxelles. Intanto, l'Unione europea guarda all'uscita del Regno Unito come ad una possibilità di rilancio. Il primo obiettivo sarebbe superare il voto all'unanimità, difeso fino all'ultimo dai britannici, come spiega l'esperto di giurisdizione europea Giampaolo Rossi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

A fine dicembre scade il periodo di transizione della Brexit: a meno di un sorprendente annuncio in questa domenica di metà dicembre, indicata come ultimo giorno dei colloqui su un possibile accordo commerciale, si procederà ad una effettiva uscita del Regno Unito “no deal”. In un caso e nell'altro, l'Ue potrà ripartire per scrivere un capitolo nuovo senza il Regno Unito che per tanti versi frenava. Al vertice di questa settimana, l'Ue ha assunto due decisioni importantissime: una sul Next Generation Eu, e l'altra sulla coraggiosa riduzione delle emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030. 

In definitiva, con la risposta alla crisi sanitaria, l'Europa ha ritrovato slancio politico, mettendo in campo 1800 miliardi di euro destinati a progetti e riforme a favore della salute e del welfare dei cittadini e avviando davvero il green deal. Ma la decisione è stata possibile solo grazie a compromessi su aspetti non direttamente legati ai fondi e al bilancio che erano il punto centrale all'ordine del giorno. Ad esempio, la promessa di maggiore libertà fiscale all'Olanda e un posticipo per la verifica sullo stato di diritto per Polonia e Ungheria. E', dunque, nei processi decisionali che l'Ue può fare progressi, come sostiene il giurista Giampaolo Rossi, esperto di istituzioni europee:

Ascolta l'intervista con Giampaolo Rossi

Rossi ricorda il commento di Ursula von der Leyen al termine del Consiglio Europeo dei giorni scorsi: “L'Europa avanza!”. Secondo Rossi, sono frasi che danno conto del superamento di una grande preoccupazione: quella di un'impasse decisionale per il veto di Polonia e Ungheria, superato all'ultimo grazie alla mediazione della presidenza tedesca. Il giurista sottolinea che la posta in gioco era decisiva perchè “il recovery fund e le altre misure che completano il progetto Next Generation Eu costituiscono un salto di qualità dell'Unione, un cambiamento di natura che ne garantisce la sopravvivenza e può avere grandi sviluppi”. Rossi, dunque, sottolinea che l'Europa, facendo proprie le necessità degli Stati membri e delle loro popolazioni derivanti dalla crisi sanitaria e economica, “supera il limite originario fondato solo sulla creazione del mercato comune e appare non più come il gendarme delle regole ma come la sede che può risolvere i problemi dei cittadini”: quelli che ogni Paese, ogni governo, non sarebbe in grado di risolvere. Basti pensare alla pandemia ma non solo.

Il nodo dell'unanimità

Rossi ricorda che l'esercizio del potere di veto sull'approvazione del bilancio, ventilato fino alla vigilia del vertice di questa settimana da Polonia e Ungheria, avrebbe impedito al progetto di prendere vita. E, dunque, sottolinea che “l'ordinamento dell'Unione non può andare avanti così, avendo sempre la spada di Damocle di quel potere di veto che l'Inghilterra, prima di andarsene, ci ha lasciato in eredità”. Tra l'altro Rossi ribadisce che questo potere viene spesso usato come una sorta di arma di ricatto per ottenere vantaggi, anche se discutibili. Cita l'esempio delle politiche fiscali favorevoli strappate dall'Olanda. A proposito del dibattito sullo stato di diritto Rossi però ha un chiarimento da fare: posto che la questione non avrebbe dovuto bloccare appunto un negoziato sul fondo di rilancio, il giurista afferma però che il quesito in discussione era un quesito mal posto dal punto di vista giuridico. La questione che non è da poco – spiega – andrebbe affrontata in altre sedi e non inserita in questo modo nel voto del Consiglio. Proprio per questo, Rossi ribadisce l'importanza di superare l'unanimità: per evitare di vincolare il voto di alcune decisioni a possibili “ricatti” su altre questioni.

L'ipotesi del federalismo

La strada – spiega – può essere quella verso la forma di Stato federale. E già ci sono tantissimi progetti elaborati da gruppi di studiosi e anche da sedi istituzionali. Ma Rossi ricorda che è una strada molto difficile e lunga perché la riforma dovrebbe essere approvata da tutti i Paesi membri e ratificata dai loro Parlamenti. Secondo il parere del giurista, gli interessi contrari sono ancora troppo forti.

L'alternativa a "cerchi concentrici”

Secondo Rossi, il modo di procedere dovrebbe essere quello delle “acquisizioni puntuali e progressive”. Ricorda che fin dall'inizio Robert Schuman aveva avvertito che l'Unione europea si doveva formare per gradi progressivi. Il giurista è convinto che le occasioni e le possibilità non manchino, proprio per le stesse ragioni che rendono necessaria l'Europa unita. Si matura di volta in volta la consapevolezza che i singoli Stati non sono in grado di risolvere i problemi più gravi delle loro popolazioni. Ora lo si constata per la crisi sanitaria ed economica. Ma – aggiunge Rossi - è così anche per i problemi del clima, dell'immigrazione, della difesa armata. Dunque, il punto focale, secondo Rossi, è che non si può pretendere che tutti i Paesi europei marcino con la stessa velocità, ma non si può ammettere che l'Unione marci con la velocità dell'ultimo vagone. Né, del resto, - avverte – sarebbe bene espellere dall'Unione i più “lenti”, che verrebbero assorbiti da altre zone di influenza. Di qui la formula di una Europa a cerchi concentrici, da realizzarsi man mano che si affrontano singole questioni. La formula circola sempre più frequentemente.

Diverse velocità sono già in atto

Rossi ricorda che non si tratta di una formula inedita. Al contrario – ricorda - è quella già in atto nell'Eurozona, per effetto delle decisioni che sono state via via adottate. Cita la pluralità di sistemi che uniscono da 17 Paesi, che condividono tutti gli accordi, fino ad altri che uniscono 24, 26 o 28 Paesi che aderiscono o meno all'euro, al patto di stabilità, all'accordo sulla libera circolazione o a quelli adottati con grande fantasia istituzionale, come quella del fondo di diritto lussemburghese, creato per dar corpo al Piano Juncher di politica economica e attratto nella giurisdizione della Corte di giustizia europea con un vero e proprio virtuosismo istituzionale. Si sta creando – afferma Rossi - così un nucleo forte e stabile, che dovrebbe prendere nel tempo più consistenza, superando anche la diarchia franco-tedesca. E il giurista è convinto che la successiva approvazione di un nuovo Trattato che ne tragga anche le conseguenze istituzionali - o meglio di più Trattati, per ogni singola fascia - non sarebbe difficile perchè ratificherebbe una realtà già in essere.  

Le potenzialità

Rossi esprime la convinzione che se ci si prefigura questo modello, la politica dei singoli passi successivi può perdere il carattere occasionale e puntiforme che ancora la caratterizza e può portare, nel giro di pochi anni, a un risultato organico, con tutte le grandi implicazioni utili all'intera umanità evocate dal Messaggio di Papa Francesco al Parlamento europeo del 25 novembre 2014. E peraltro – aggiunge – potrebbe rispondere agli obiettivi indicati nel discorso di insediamento di Ursula von der Leyen.

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13 dicembre 2020, 11:06