Comunità di S. Egidio: dolore per l'esecuzione di Lisa Montgomery
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Negli Stati Uniti è stata eseguita la pena capitale di Lisa Montgomery. Si tratta della prima esecuzione di una donna a livello federale dopo 70 anni. Era stata condannata per aver ucciso 16 anni fa una donna incinta all’ottavo mese, Bobbie Jo Stinnett, sottraendole la bambina che portava in grembo. La neonata, che si è salvata, si chiama Victoria e ha 16 anni. Lisa Montgomery, che soffriva di disturbi mentali, era stata vittima durante l’infanzia di episodi di sfruttamento e di abusi sessuali. La sua esecuzione era stata sospesa per consentire una perizia psichiatrica.
Dolore e sdegno della comunità di Sant’Egidio
La Comunità di Sant'Egidio, insieme ai tanti che hanno in questi giorni sostenuto la battaglia per la vita di Lisa Montgomery, “esprime tutto il suo dolore e il suo sdegno per la decisione crudele di portare comunque a termine la sua esecuzione”, nonostante la richiesta di una sospensione per verificare il suo stato di grave disagio psichico. “Un atto che manifesta soltanto un desiderio di vendetta ‘legale’, che nulla ha a che vedere con la giustizia, che è sempre lotta per la vita”. "L'orrore di questa morte non sana le ferite provocate dalla violenza, ma inietta dosi di odio e disperazione in una società che invece ha bisogno di ragionevolezza, di una giustizia riabilitativa, di misericordia e di perdono”. La Comunità di Sant’Egidio esprime anche l’auspicio che la scellerata decisione di riesumare le esecuzioni federali sia presto revocata e si possa aprire una stagione di rispetto per la vita dopo troppa morte”. Negli Stati Uniti la pena di morte è in vigore in 29 Stati su 50. Viene inoltre riconosciuto un livello federale per un ristretto ambito di reati: alto tradimento, attentati contro il presidente, crimini collegati al traffico di droga o, infine, omicidi di difficile attribuzione territoriale.
Si superi la cultura dell'odio e della vendetta
“Non si può aggiungere morte ad altra morte”. Così a Vatican News Don Marco Gnavi, parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere e coordinatore della campagna della comunità Sant’Egidio per l’abolizione della pena di morte.
R. - Lisa Montgomery è una donna che ha sofferto nella sua vita violenta ed è stata uccisa da altra violenza. In questo senso, in comunione con Papa Francesco, crediamo che la sua vita spezzata sia una domanda di maggiore impegno perché negli Stati Uniti e ovunque nel mondo la pena capitale sia bandita dal diritto, dalla cultura e dalle abitudini. Non si può aggiungere morte ad altra morte. Ci deve essere una solidarietà nella difesa di ogni essere umano sapendo che la vita è sacra dal concepimento alla morte naturale. Avevamo riposto una qualche speranza. Avevamo raccolto migliaia di firme. Tanti si sono mobilitati per lei e bisogna che tutti costoro, come la Comunità di Sant'Egidio e molti altri, rafforzino e trovino parole, per persuadere, e azioni per superare la cultura dell’odio. E per salvare vite da questo veleno della vendetta che si può esprimere in tanti modi. E, purtroppo, si esprime anche attraverso legislazioni e azioni di Stato che devono essere bandite.
La pena di morte è sempre inutile per fare giustizia. Serve invece una cultura della fratellanza per vincere quella che Papa Francesco definisce cultura dello scarto…
R. - Pensiamo anche a ciò che è avvenuto negli Stati Uniti. Cultura dello scarto, violenza e l’identificare il nemico rendono la società fragile. La corrompono. Questo uccide non solo i singoli, ma anche la coscienza collettiva del bene comune. Ci si salva solo insieme. Quando muore un condannato a morte muore una parte della coscienza migliore della società che crede nella riabilitazione, che crede che tutto può cambiare. Io sono convinto che queste esecuzioni, con tutta la loro drammaticità, rappresentino e debbano rappresentare un punto di non ritorno verso un mondo diverso. Un mondo dove non si venga uccisi e dove non si uccida. È inammissibile la pena capitale.
Quale è la situazione nel mondo per quanto riguarda la pena capitale? ci sono segni di speranza, nonostante tutto?
R. – Nonostante tutto, direi di sì. L'ultima votazione all'assemblea generale delle Nazioni Unite sulla moratoria ha visto crescere il numero dei Paesi che vogliono sospendere de facto l'uso di questo strumento. La coscienza si sta allargando. Anche nel tempo della pandemia bisogna scegliere di combattere questa battaglia e non lasciare cadere questa priorità. Questo sapendo che, nella distanza e nell'isolamento, si possono perpetrare molti crimini. Nel tempo della pandemia bisogna vigilare. E bisogna dare forza tutti i segnali positivi. Proprio pochi giorni fa, l’Uzbekistan ha ratificato l’adesione al secondo protocollo opzionale, un trattato internazionale che prevede la negazione e l'abolizione della pena capitale. E poi bisogna far parlare i volti, le storie e le persone. La vita di Lisa era una vita ferita dalle violenza fin dall'infanzia. La sua mente è stata divisa. Era una donna traumatizzata che ha compiuto un crimine possibile solo in una mente ferita e violata. I crimini per cui si commette la pena di morte sono una domanda all'intera società non di tagliare come un tumore e recidere la vita di chi è affetto dalla violenza, ma di curare e di guarire. E si guarisce tutti insieme. Anche i sentimenti di vendetta sono pericolosi. Sono veleno. Io credo che i nostri antidoti siano quelli di cercare di comprendere le ragioni e di non credere alle soluzioni semplificate e brute. E prenderci la responsabilità gli uni degli altri, stare vicino alle famiglie di coloro che hanno subito violenze o hanno perso i propri cari. Uno sguardo così come noi siamo abituati a fare, o cerchiamo di fare, perché figli della Chiesa di Roma. Uno sguardo universale sul mondo e sugli esseri umani.
Pena di morte inutile per fare giustizia
Anche i presuli degli Stati Uniti si erano espressi alla vigilia di questo triste appuntamento. Con un forte appello ai membri del Congresso, gli arcivescovi di Oklahoma City e Kansas City, monsignor Paul S. Coakley e monsignor Joseph F. Naumann, avevano ricordato che il rispetto della dignità e della sacralità della vita umana rende la pena di morte inammissibile e inutile per fare giustizia. “Con le carceri moderne non abbiamo bisogno della pena di morte per tenerci al sicuro”. “Possiamo ottenere giustizia - avevano aggiunto - senza di essa e rafforzare il rispetto della dignità e sacralità di ogni vita umana che è tanto necessario oggi”. Da qui, anche sulla scia delle voci dei Pontefici degli ultimi anni, la richiesta dei presuli di fermare le esecuzioni e di abolire a livello federale la pena di morte.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui