Presidenziali in Ecuador tra crisi economica e sanitaria. Chiesa: preghiera e digiuno
Michele Raviart - Città del Vaticano
In una triplice crisi sanitaria, economica e sociale, l’Ecuador affronta il voto del 7 febbraio, per eleggere il successore del presidente Lenin Moreno - che ha deciso di non ricandidarsi - e i 137 deputati dell’Assemblea nazionale. Il via libera è stato dato dalla presidente del Consiglio nazionale elettorale Diana Atamaint che, per il primo importante evento elettorale in Sud America nel 2021, ha invitato gli osservatori delle più importanti organizzazioni internazionali (dall’Organizzazione degli Stati americani, che sarà presente con una ventina di delegati, all’Unione Europea) per certificare la regolarità delle elezioni.
I candidati alla presidenza
Sedici i candidati alla presidenza, la maggior parte dei quali tuttavia non è abbastanza noto a livello nazionale per ottenere la vittoria al primo turno con 40% dei voti con almeno dieci punti di scarto (qualora nessuno raggiungesse questa soglia si andrà al ballottaggio il prossimo 11 aprile). Per i sondaggi i favoriti sono Andrès Arauz, della coalizione progressista Unes e scelto personalmente dall’ex-presidente Rafael Correa, che a ha guidato il Paese dal 2007 al 2017 ed è stato condannato in contumacia ad otto anni di carcere per corruzione. Arauz ha promesso di alzare le tasse ai più ricchi e di voler sostenere i consumatori e ha già annunciato che non si atterrà agli accordi stipulati con il Fondo Monetario Internazionale per ristrutturare il debito del Paese. L’altro candidato è Guillermo Lasso, banchiere del movimento Creo, di centro-destra, e alla sua terza candidatura presidenziale. Favorevole al libero mercato e ad un avvicinamento dell’Ecuador alle organizzazioni internazionali, ha promesso la creazione di lavoro e l’arrivo di investimenti internazionali privati nei settori chiave del petrolio, dello sfruttamento minerario e dell’energia. Terzo e staccato nei sondaggi, Yaku Pèrez, candidato del movimento indigeno Pachakutik, portatore delle istanze dei nativi che a fine 2019 protestarono in tutto il Paese contro le misure volute dal presidente Moreno per tagliare le pensioni e le sovvenzioni all’agricoltura, venendo incontro alle richieste dell’FMI.
I movimenti indigeni
Yaku Perez potrebbe essere l’ago della bilancia, spiega a Vatican News Alfredo Luis Somoza, esperto dell’area e presidente dell'Istituto Cooperazione economia internazionale di Milano, “perché sicuramente si andrà al ballottaggio e il suo partito rappresenta la parte moderata del movimento indigeno che è molto articolata e addirittura aveva sostenuto nelle precedenti elezioni Guillermo Lasso”. “Adesso”, spiega, “la situazione probabilmente si invertirà perché il movimento è stato protagonista delle proteste contro Moreno e quindi difficilmente potrà ancora sostenere un candidato che vuole continuare con quel tipo di politiche”.
La fede rinnovi le coscienze
In vista della tornata elettorale, si fa sentire anche la voce dei vescovi con l'invito a dedicarsi ad una “Giornata di preghiera e digiuno” in una qualunque data possibile entro il 7 febbraio. “Rivolgiamo i nostri occhi al Cuore di Gesù – scrivono i vescovi in una nota – al quale siamo consacrati come nazione. In questo momento cruciale per la patria, la luce della fede può e deve rinnovare le coscienze e rafforzare la responsabilità degli elettori e dei candidati”.
Crisi sanitaria ed economica
Con oltre 250 mila positivi e almeno 10 mila morti per Covid-19, l’Ecuador è stato uno dei Paesi sudamericani più colpiti dalla prima ondata della pandemia e da dicembre i contagi stanno aumentando soprattutto nella capitale Quito. Questo ha paralizzato il 70% delle attività economiche del Paese, causando almeno 600 mila disoccupati, portando il tasso di disoccupazione al 68%, in un contesto di crisi economica che va avanti dal crollo del prezzo del petrolio del 2015.
Le sfide per il futuro
Il nuovo presidente dovrà quindi confrontarsi con un’economia contratta di oltre il 10%, con un debito pubblico pari al 60% del Pil e con un tasso di povertà del 35%, oltre alla gestione del prestito di 6,5 miliardi di dollari fornito dal Fondo Monetario Internazionale per ristrutturare gli oltre 17 miliardi di debito. “L’Ecuador è un Paese che ha un’agricoltura importante - spiega Somoza - che è molto inserita in diversi circuiti internazionali per quanto riguarda l’export di materie prime valorizzate ed è una destinazione turistica di tutto rispetto”, sottolinea Somoza. “Queste cose, in questo momento, con la pandemia sono venute meno, ma sicuramente l’Ecuador che dovrebbe uscire da questa crisi, dovrebbe essere un Paese che riesce a ricucire la divisione storica tra il mondo delle ‘alte terre’, della Sierra e il mondo dell’economia che fa capo alla città di Guayaquil”, spiega ancora, “quindi queste due visioni del mondo, una comunitaria ancestrale e l’altra legata al liberismo dovrebbe trovare una sintesi perché effettivamente l’Ecuador ha tutte le carte in regola per avere una situazione migliore di quella che ha”.
La campagna di vaccinazione
Con 500 mila profughi provenienti dal Venezuela, privi di assistenza sanitaria, decisiva sarà anche la campagna di vaccinazione che finora ha riguardato solo ottomila persone tra operatori sanitari e anziani a rischio. 86 mila le dosi disponibili finora, che dovrebbero arrivare a 2 milioni entro l’anno. L’obiettivo del governo, tuttavia, è quello di vaccinare 9 milioni di persone, pari al 60% della popolazione e per questo ha investito 200 milioni di dollari.
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