Immigrazione: on line l’impegno dei volontari nella rotta balcanica
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Un incontro sul web per non far scendere l’attenzione sulla gravissima emergenza umanitaria che 9 mila profughi circa bloccati in Bosnia e Erzegovina, nel campo di Lipa ed altri centri di raccolta in condizioni al limite della vivibilità. La maggior parte di loro arriva dall’Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Siria, Iraq, Iran. Molti vengono anche dal nord Africa e scelgono questa rotta in quanto ritenuta più sicura di quella mediterranea, ma non meno drammatica.
Occorrono aiuti urgenti
Il titolo del webinar, “Rotta Balcanica. La testimonianza di chi opera sul campo”, non lascia adito a dubbi: la sopravvivenza dei migranti è possibile grazie all’instancabile opera di tanti volontari che, sul posto o da più lontano, garantiscono beni di prima necessità e possibilmente un tetto a centinaia di persone. Daniele Bombardi, coordinatore regionale di Caritas italiana nei Balcani, uno dei partecipanti all’incontro, racconta dei tantissimi immigrati costretti a sopravvivere addirittura fuori dai campi, mangiando quel che capita e quando capita e dormendo nei boschi. Il freddo di questa stagione, con la pandemia in atto, rischia di far precipitare la situazione nel dramma.
Non spegnere i riflettori sul dramma umanitario
I volontari, racconta Bombardi, operano su vari livelli. Innanzitutto quello del supporto materiale, ma anche psicologico con particolare vicinanza ai soggetti più vulnerabili, provati dal lungo viaggio e traumatizzati, come anziani, bambini e donne, anche perché nei campi si verificano spesso episodi di violenza. L’incontro on line, “Rotta balcanica. La testimonianza di chi opera sul campo”, vuole rilanciare la raccolta fondi e informare. L’obiettivo primario, conclude Bombardi, è quello di creare una coscienza collettiva per riuscire a capire veramente che cosa sta succedendo sulla rotta balcanica, per arrivare a realizzare cambiamenti strutturali e risolvere il problema. Con gli aiuti umanitari si possono tappare alcune falle, ma, se non c’è un cambiamento strutturale, tra sei mesi o un anno ci si troverà sicuramente ad affrontare una nuova emergenza.
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