La Somalia nel caos, indebolita dalle ingerenze esterne
Stefano Leszczynski - Città del Vaticano
La Somalia è uno di quei Paesi delle periferie della Terra, dove la definizione di Papa Francesco di “guerra mondiale a pezzi” trova un’applicazione drammaticamente attuale. L’ultimo capitolo, in ordine di tempo, dell’instabilità di questo martoriato Stato del Corno d’Africa si è aperto con le violenze esplose in seguito al rinvio delle elezioni inizialmente previste per l’8 febbraio scorso, una decisione presa dall’attuale presidente federale, Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo - in carica dal 2017 – ufficialmente per motivi legati alla pandemia da Covid.
Un’instabilità pilotata dall'esterno
Oltre alla dimensione locale, tuttavia, gli analisti internazionali sembrano concordi nell’individuare, dietro la perenne instabilità politica, dei forti interessi esterni. A dispetto della sua condizione di Paese immiserito da guerre e carestie, la Somalia nasconde, infatti, una serie di risorse che sono molto importanti sotto il profilo strategico-economico e che fanno gola a molti, a cominciare da alcuni gruppi d’interesse della stessa diaspora somala. – come spiega il professor Nicola Pedde, direttore di IGS – Institute for Global Studies. “Ci sono gruppi che riescono ad esercitare una forte capacità di influenza sul Paese e sono interessati a mantenere lo status quo per poter garantire la continuità dei propri affari economici in Somalia. Si tratta di interessi che spaziano dall’erogazione dei servizi per la telefonia, ai servizi per la raccolta dei rifiuti nella capitale, alla gestione dell'elettricità e dell’illuminazione senza particolari vessazioni sul piano fiscale”.
Gli interessi internazionali sulla regione
Poi ci sono gli attori stranieri: da una parte la Turchia e il Qatar e dall'altra gli Emirati Arabi Uniti, che hanno mostrato forti interessi sul territorio somalo. Un’ulteriore componente internazionale è quella riconducibile al Kenya e ad alcuni Paesi europei, come la Gran Bretagna. In questo caso il sostegno alle spinte autonomiste in senso federale della Somalia avrebbe portato ad un indebolimento della capacità di controllo del governo centrale di Mogadiscio. Qui gli interessi economici in ballo sono quelli relativi alla contesa per il controllo di importanti risorse energetiche, in particolare petrolifere, come nel caso della disputa territoriale e marittima tra Somalia e Kenya; c’è poi la questione dello sfruttamento delle risorse ittiche, che ha portato a un depauperamento delle acque somale con la complicità anche di interessi europei, senza contare quelli sui giacimenti di carbon fossile e sugli allevamenti di bestiame.
Una posizione geografica strategica
Insomma, anche la Somalia rientra nel novero delle tante miniere a cielo aperto del continente africano, ma con un plusvalore che è rappresentato dalla sua posizione strategica a cavallo del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. Una posizione geopoliticamente importante – spiega Nicola Pedde – per la presenza di scali portuali “che costituiscono il centro nevralgico delle movimentazioni dall'interno del Corno d’Africa, e quindi anche dall' Etiopia, verso il mare e trasformano la Somalia in un attore importantissimo che tutti hanno interesse a mantenere nel suo attuale stato di debolezza e frammentazione”.
L’importanza di un esecutivo solido
Di fronte a un tale intreccio di interessi internazionali – conclude Pedde - anche l’invito del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a trovare al più presto una soluzione politica per lo svolgimento delle elezioni prende le sembianze di un mero palliativo se non viene affrontato alla radice il problema del superamento dei limiti imposti da una visione federale e disgregatrice rispetto agli interessi del Paese.
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