Myanmar, scattano gli ordini di cattura per i capi delle proteste
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
A due settimane dal golpe della giunta militare in Myanmar e dall’arresto della leader Aung San Suu Kyi, il 1° febbraio scorso, sono stati emessi gli ordini di cattura per i leader della protesta che, negli ultimi otto giorni, hanno portato enormi folle in piazza, in aperta sfida ai generali. A firmare i mandati di arresto sarebbe stato lo stesso capo dei militari, il generale Min Aung Hlaing, che ha anche ordinato la sospensione della legge che, dal 2011, con l’insediamento di un governo di transizione democratica, dopo quasi 40 anni di dittatura militare, proteggeva i cittadini da arresti, perquisizioni e detenzioni arbitrari da parte delle forze di sicurezza.
Le minacce della giunta militare
Nella lista delle persone da arrestare vi sarebbero sette nomi, si tratta di personaggi di alto rango che si oppongono al governo militare attraverso i social, tra loro persone con alle spalle già molti anni di carcere durante la precedente dittatura militare. I militari avrebbero anche minacciato pesanti sanzioni contro chiunque darà loro rifugio o ne coprirà la fuga. La condanna, secondo una nuova legge, potrebbe arrivare fino ai due anni di carcere senza processo.
Gli appelli del Papa
Negli ultimi giorni si conta un moltiplicarsi di arresti a danno di chiunque si unisca al movimento di disobbedienza civile. Un appello alla pace e alla giustizia sociale è stato lanciato da monsignor Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, il quale ha anche richiamato le parole del Papa, lo scorso 7 febbraio, quando Francesco aveva assicurato al popolo del Myanmar “vicinanza spirituale, preghiera e solidarietà” e poi quelle del giorno successivo, quando ricevendo in udienza il corpo diplomatico, il Papa aveva auspicato “la pronta liberazione” dei leader politici incarcerati in Myanmar, come “segno di incoraggiamento a un dialogo sincero per il bene del Paese”.
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