Valorizzare gli oceani e le zone umide per affrontare i cambiamenti climatici
Michele Raviart - Città del Vaticano
Per le Nazioni Unite il decennio 2021-2030 sarà la “decade dell’Oceano”, in cui la più importante organizzazione internazionale del mondo promuoverà incontra tra scienziati e operatori di diversi settori per promuovere una migliore conoscenza di uno degli ecosistemi più grandi del pianeta. L’obiettivo è quello di “Invertire il declino dello stato in cui si trova il ‘sistema oceano” e catalizzare nuove opportunità di sviluppo sostenibile”, sulla base delle sfide poste dall’Agenda 2030.
Il momento della "blue economy"
Un percorso che inizierà oggi con la conferenza online promossa dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa dell'Unesco, che sarà inaugurata dall’intervento del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. “A brave new ocean” è il titolo dato all’incontro virtuale che riunirà capi di Stato e di governo, le agenzie Onu, donatori e scienziati esperti sul tema. L’idea alla base è che per uscire dai danni economici e sociali causati dalla pandemia di Covid-19 finora si sia spesso pensato a implementare una “green economy” più sostenibile nei confronti dell’ambiente e attenta alle cause e alle conseguenze dei cambiamenti climatici, sottovalutando però una “blue economy” che abbia l’oceano e la gestione delle acque come focus principale.
Il ruolo delle "zone umide"
Un esempio in cui gestione economica, tutela della biodiversità e rispetto del ciclo naturale dell’acqua si fondono è quello delle cosiddette “zone umide”. Fiumi, laghi, paludi, ma anche lagune, torbiere, saline e risaie create dall’uomo, che forniscono la maggioranza dell’acqua dolce del pianeta. Nelle zono umide vivono il 40% delle specie animali del mondo – si calcola che se ne scoprano 200 nuove ogni anno – fornendo cibo a tre miliardi e mezzo di persone con un indotto da 47 miliardi di miliardi di dollari.Essendo poi ambienti di transizione tra il mare e la terra hanno anche una funzione di regolazione delle acque. “Pensiamo alle zone lungo i fiumi che durante le alluvioni raccolgono le acque e i sedimenti e, come fossero delle spugne, permettono all’acqua lentamente di penetrare nel suolo, restituendola progressivamente durante l’anno, soprattutto durante i periodi di siccità che come sappiamo si stanno alternando sempre più frequentemente alle alluvioni come due facce della stessa medaglia”, spiega a Vatican News Andrea Agapito Ludovici, responsabile acque del WWF Italia.
Reintegrare il ciclo dell'acqua
Le zone umide “depurano” anche l’acqua e reintegrano le falde acquifere utilizzate per la coltivazione e per il consumo dell’uomo. L’uso dell’acqua, tuttavia, è aumentato di sei volte negli ultimi cento anni e ogni anno aumenta dell’1%. Usiamo acqua più velocemente di quanto ci vuole per reintegrarla nel ciclo naturale e ci si aspetta un aumento del 24% entro il 2050. In questo senso la tutela delle zone umide appare sempre più importante, tanto è vero che se prima il paradigma era quello di bonificare queste aree per ottenerne terreno fertile adesso si punta a tutelare e ripristinare quanto più possibile questi territori.
La Convenzione di Ramsar
La giornata mondiale delle zone umide si è celebrata ieri e ricorda la convenzione di Ramsar del 1971, quando nella città iraniana si stabilì di tutelare e mettere a rete le zone umide di rilevanza internazionale, inizialmente per tutelare i luoghi scelti dagli uccelli per le migrazioni. La convenzione è ora sottoscritta da 176 Paesi e tutela oltre duemila aree in tutto il mondo – 53 in Italia. “È stata una pietra miliare, perché ha aperto a tutta una serie di convenzioni per la tutela della natura che si sono poi succedute”, sottolinea ancora il responsabile acque del WWF, che in Italia tutela tra le altre le oasi di Orbetello e di Burano, “ed è stato il primo momento in cui ci si è resi consapevoli che la natura non ha confini”.
Tutelare e ripristinare
“Bisogna continuare a proteggere le zone umide esistenti e poi, seguendo quella che anche la strategia europea per la biodiversità entro il 2030, ripristinare dove è possibile questi ambienti, proprio per cercare di favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici”, conclude Andrea Agapito Ludovici. “Noi abbiamo un territorio che è sempre più vulnerabile e le zone umide danno un contributo enorme proprio all’attenuazione dei fenomeni che sono sempre più estremi”, spiega, “dobbiamo adattarci ai cambiamenti climatici e quindi in qualche modo contribuire a ridare agli ecosistemi naturali, e alle zone umide in primis, la capacità di rispondere a questi effetti che sono sempre più accentuati”.
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