Sempre più barriere e più disuguaglianze nel mondo
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Negli ultimi quindici anni, numerosi governi, occidentali e non, hanno scelto di erigere muri (presidiati) ai propri confini. Dopo l’illusione di aver superato l’epoca storica delle contrapposizioni con la caduta del muro di Berlino nel 1989, si continuano a moltiplicare le barriere che attualmente segnano la terra per un numero di chilometri che eguaglia oramai la metà della sua circonferenza. Strutture enormi che spesso vengono pensate anche solo per ragioni di paure. Per comprendere qualcosa di più della genesi di questi muri, delle problematiche e delle dinamiche connesse, abbiamo intervistato Veronica Arpaia, studiosa dell’Università Sapienza di Roma che ha firmato il volume, per i tipi della Luni Editrice, intitolato Tempo di muri Un mondo diviso da Berlino a Trump:
Barriere e disegualianze
Dopo il 1989 si è avuta l’illusione che si aprisse un’era senza muri, ricorda Arpaia, illusione naufragata di fronte all’evidenza, in particolare negli ultimi 15 anni, del moltiplicarsi di barriere nel mondo. E Arpaia chiarisce quello che le sembra più significativo: non si tratta più di barriere a difesa di mondi ideologici distanti ma si tratta sempre di più di muri costruiti per difesa contro processi migratori che aumentano di intensità. E dunque purtroppo sono muri che nascono – sottolinea – dalle diseguaglianze. Per questo si deve parlare di muri tra Sud e Nord del mondo piuttosto che tra Est e Ovest. Dal momento che le disuguaglianze si vanno purtroppo accentuando e non attenuando nel mondo, tra diversi Paesi ma anche all’interno degli Stati, si comprende come anche le barriere aumentino.
L’importanza delle ricostruzioni storiche
Arpaia sottolinea l’importanza di guardare alle varie situazioni nel mondo cercando di ricostruire lo spessore storico e cercando di capire i conflitti o i motivi di tensioni che stanno dietro alle decisioni di erigere barriere. Cita l’esempio del muro tra Stati Uniti e Messico che ha fatto tanto parlare durante la presidenza Trump per alcune scelte nei confronti di migranti, ma che va inquadrato nel processo che ha portato alla sua elaborazione e che risale come progetto al 1996. Arpaia cita altri esempi come quello più recente dell’annuncio dell’intenzione di erigere un muro tra Repubblica Dominicana e Haiti, sottolineando che si tratta di due Paesi non ricchi ma di cui uno, Haiti, è ancora più povero e problematico dal punto di vista sociale. In definitiva, si devono studiare i muri per poter capire e sperare di superare le divisioni da cui nascono.
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