Siria, dopo 10 anni di guerra più di 12 milioni rischiano la fame
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Un triste anniversario, quello del 15 marzo, per la Siria: dieci anni di guerra civile, e ora, a causa della crisi innescata dalla pandemia di Covid-19, quella del vicino Libano e il collasso della sterlina siriana, i prezzi alimentari sono saliti alle stelle, aumentando di più del 200 per cento, facendo precipitare circa 4 milioni e mezzo di persone in più nella fame e nell’insicurezza alimentare, nel solo 2020.
A rischio il doppio di siriani rispetto al 2018
Secondo Sean O’Brien, direttore del Programma Alimentare Mondiale (Pam-Wfp) in Siria “le famiglie si trovano a dover fare scelte impossibili. Avere cibo sulla tavola o ricevere le cure mediche di cui hanno bisogno? O mandare i propri bambini a scuola? Senza una continua assistenza, queste famiglie, semplicemente, non possono sopravvivere”. L’agenzia umanitaria dell’Onu, Premio Nobel per la pace 2020, stima che un milione e 300 mila siriani non sopravviverebbero senza assistenza alimentare, e che il 60 per cento, 12,4 milioni di persone, soffra di insicurezza alimentare, il doppio rispetto al 2018.
Prezzi troppo alti per la carne e la frutta
Le famiglie dicono agli operatori del Pam-Wfp che la vita non è stata così difficile neanche negli anni peggiori del conflitto. I genitori raccontano di non mangiare carne o frutta da mesi perché i prezzi del cibo di base sono enormemente aumentati e fuori dalla loro portata. Negli ultimi dieci anni, il Programma Alimentare Mondiale ha fornito, ogni mese, assistenza alimentare a circa 5 milioni di siriani nel Paese, usando ogni mezzo disponibile per raggiungere le persone in stato di bisogno. L’agenzia dell’Onu sta, inoltre, fornendo assistenza ad oltre 1,5 milioni di rifugiati siriani nei Paesi vicini di Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto che, complessivamente, ospitano oltre 5,6 milioni di siriani. Si tratta del gruppo più numeroso di rifugiati al mondo.
Il dramma dei profughi siriani in 5 Paesi dell’area
Il Covid-19 e la conseguente recessione economica hanno spinto centinaia di migliaia di rifugiati siriani nella regione ancora di più nella povertà. Allo stesso tempo, nei cinque Paesi che ospitano i rifugiati, il Wfp deve far fronte a carenze nei finanziamenti e potrebbe presto essere costretto a scegliere tra fornire razioni di cibo ridotte o dare priorità solo ai più vulnerabili. “Dopo dieci anni, la fatica è tanta – spiega Corinne Fleischer, direttrice regionale del Wfp per il Medio Oriente e il Nord Africa - sia nei Paesi che ospitano i rifugiati sia in quelli donatori, sotto pressione per la pandemia di Covid-19 e per i suoi effetti sulle economie nazionali. La popolazione siriana, però, è allo stremo. Non dobbiamo dimenticarli. Se lo facessimo, significherebbe la perdita di vite umane”.
Le difficoltà dei profughi siriani in Libano
In Libano, dove il Pam assiste quasi 900 mila rifugiati siriani, a causa della recessione economica, dell’inflazione galoppante, della pandemia e, per finire, dell’esplosione a Beirut, l’89 per cento delle famiglie siriane rifugiate, nel 2020, viveva sotto la soglia di povertà estrema. L’anno precedente la percentuale era del 55 per cento. La metà di tutti i rifugiati siriani nel Paese vive nell’insicurezza alimentare, nel 2019 era il 29 per cento.
Tra i primi donatori del Pam, Usa, Germania ed Europa
“Siamo grati ai nostri donatori che ci hanno sostenuto negli anni, permettendoci di fornire cibo a milioni di famiglie siriane, in Siria e negli altri Paesi – aggiunge Fleischer -, ma non possiamo fermarci ora. Il sostegno alla popolazione siriana è cruciale per la stabilità regionale ed internazionale”. I principali donatori del Pam-Wfp, negli ultimi dieci anni, sono stati gli Stati Uniti, la Germania e la Commissione europea, per un totale di 6,8 miliardi di dollari per le operazioni in Siria e nei Paesi vicini.
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