La torcia olimpica riparte da Fukushima
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Giovedì 25 marzo il Giappone riparte da Tokyo 2020. Per i "Giochi di ricostruzione" la decisione è stata quella di confermare il nome, quel 2020 che indicherà per sempre l'anno in cui le Olimpiadi si sarebbero dovute disputare. Per la prima volta nella storia, infatti, sono state posticipate. In passato erano state cancellate, ma mai rimandate. L'appuntamento è per venerdì 23 luglio, giorno dell'inaugurazione. Si sa già che non ci saranno spettatori provenienti da altri Paesi, nella speranza che la pandemia permetta la presenza almeno di quelli locali. Oggi, intanto, si riparte dalla torcia. Quella fiamma che attraversando il mondo è giunta in Giappone e diventa oggi assoluta protagonista in una città, Fukushima, simbolo della storia recente del Paese asiatico.
La scelta di Fukushima
Quasi mezzo milione di casi e 9mila vittime. Questi i numeri della pandemia di Covid-19 in Giappone. Per il disastro nucleare di Fukushima, avvenuto dieci anni fa, i morti furono il doppio: 18mila. Ripartire da Fukushima significa dunque farlo dal luogo che mostra la ferita più grande della storia recente nipponica. Non ci saranno spettatori, la cerimonia sarà trasmessa in diretta. Proprio a Fukushima, ad un centinaio di chilometri dal luogo del disastro, si terranno le gare di baseball, sport nazionale giapponese. La fiaccola partirà dal J-Village il centro nazionale di allenamento di calcio e passerà nelle città fantasma vicine alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, tra cui Tomioka, Futaba, Namie e Okuma. La torcia attraverserà 859 comuni toccando tutte e 47 le prefetture del Paese. Un viaggio che durerà 121 giorni fino al 23 luglio, quando verrà acceso il calderone olimpico nello Stadio Nazionale di Tokyo. Sarà quello il via ufficiale dei Giochi che si chiuderanno l'8 agosto.
Quella fiamma parla al mondo
"Il fuoco della torcia è stato presente nelle Olimpiadi antiche come segno di pace, sospensione di tutte le guerre e poi ha trovato spazio anche in quelle moderne sulla spinta di de Coubertin e da allora, ogni volta, ci dice che sta accadendo qualcosa di importante". Lo afferma nell'intervista a Vatican News don Alessio Albertini, assistente ecclesiastico del Centro Sportivo Italiano. "L'attraversare con la torcia un po' tutti i Paesi, vederla ripartire oggi da Fukushima ricorda che c'è una speranza che ci attende, una possibilità di rinascita".
"I segni ci servono per dire che si può ricominciare. Anche nel Vangelo - prosegue - Gesù si identifica con la luce. Ci ricorda che è la Luce del mondo e dice ai suoi discepoli che ci sono 12 ore di luce e si deve camminare in quel tempo perché poi ci sono le tenebre. Noi oggi, allora, possiamo pensare che ci sono state 12 ore di tenebre, il buio della pandemia non è ancora finito, ma si intravede la luce. Anche un grande evento come questo può dare una speranza, può essere una rinascita. Ci siamo tutti ritrovati sulla stessa barca a soffrire, speriamo di poterlo fare presto tutti insieme per gioire".
Lo spirito di gruppo
In una recente intervista, il Papa ha sottolineato come il riscatto e lo spirito di gruppo siano i valori che più ama dello sport. Valori che oggi riguardano ciascuno di noi? "Assolutamente, e se andiamo a leggere tutti gli interventi agli sportivi che Francesco ha fatto in questi anni di magistero - sottinea don Albertini - ci accorgeremo come siano una costante i richiami alla comunità, a fare gruppo, all'insieme. Una costante che è emersa con forza anche nei suoi richiami in tempi di pandemia. Potremo riscattarci perché ciascuno si metterà in relazione con gli altri ed il mondo dello sport sa lanciare questo messaggio come pochi altri: le squadre vincono non perché hanno dei campioni, ma perché sanno mettersi insieme. A maggior ragione ne ha bisogno il nostro pianeta oggi".
Regole ed avversari
Parlare di sport vuol dire anche sottolineare l'importanza del rispetto delle regole e dell'avversario. "Una sfida sportiva senza un avversario non è possibile. Non è un nemico da abbattere, pena l'esclusione dal gioco, la fine del gioco. Anche il termine competizione richiama alla compagnia, cioè al condividere con qualcun altro un tempo ed uno spazio per un obiettivo. L'avversario non può mai essere visto come qualcuno da escludere, questa - afferma don Albertini - è la guerra". Tutto ciò in un contesto caratterizzato da regole ben precise. "Lo sport è un cercare le regole, perché altrimenti non esisterebbe. La prima regola fondamentale è quella che stabilisce chi vince. Nessuno può dire di aver vinto se non in riferimento ad un regolamento preciso. Per partecipare, tu devi dare un atto di fiducia a quelle regole e alla condivisione con gli altri. Come sarebbe bello se il mondo fosse così, caratterizzato dall'accettazione delle regole".
Quella torcia di 25 anni fa
Un quarto di secolo fa il mondo ha vissuto uno dei momenti più emozionanti legati alla torcia olimpica. In diretta televisiva, la nuotatrice statunitense Janet Evans la passò alla leggenda della boxe, Mohamed Ali. Il campione ad Atlanta 1996 commosse tutti dando il via ai Giochi olimpici. “Come potrò mai passare la torcia a 'the greatest’, il più grande di tutti?” si chiese la Evans, quando le diedero la notizia. Iniziò a montare il nervosismo, come prima di una gara. Quando arrivò il giorno, si guardò intorno. “Vedevo gli americani, sì, ma vedevo anche sportivi di tutto il mondo: giocatori di ping-pong della Mongolia, schermidori della Tunisia, atleti - ricordava - che non vedi mai sulla Nbc".
"Guardavo i loro occhi, l’entusiasmo di partecipare a qualcosa che unisce il mondo, e poi arrivò Ali, il suo coraggio, la sua determinazione ad essere lì, ispirando i giovani di ogni nazione". E la dignità di un uomo che, nonostante il morbo di Parkinson, non aveva paura di mostrarsi al mondo sportivo e di afferrarne il simbolo di tutti i tempi: la torcia olimpica.
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