Ciad: il presidente Deby ucciso dai ribelli, la giunta militare al potere
Marco Guerra – Città del Vaticano
Il presidente del Ciad, Idriss Déby Itno, al potere da 30 anni, è morto a seguito delle ferite riportate mentre guidava l'esercito nella lotta contro i ribelli nel nord del Paese.
Ucciso dopo la vittoria alle elezioni
L’annuncio della morte del presidente Deby è stato dato poche ore dopo che le autorità elettorali avevano dichiarato il 68enne leader vincitore delle elezioni presidenziali dell'11 aprile, spianando la strada ad altri sei anni di permanenza al potere. Idriss Déby è deceduto per le gravi ferite riportate nel fine settimana, mentre stava guidando l'esercito a diverse centinaia di chilometri dalla capitale N'Djamena contro una colonna di ribelli del 'Fact' (Fronte per il cambiamento e la concordia in Ciad), partiti da basi nel sud della Libia. Secondo il resoconto fornito dall'esercito, Deby aveva assunto "la guida eroica nelle operazioni di combattimento contro i terroristi che erano arrivati dalla Libia", anche se molti osservatori ritengono che le circostanze della morte restino poco chiare.
18 mesi per la transizione
Nel Paese, transito di migranti africani, si è subito insediato un Consiglio militare di transizione guidato dal figlio 37enne di Deby. I militari hanno sciolto governo e parlamento, annunciato il coprifuoco e bloccato le frontiere, ma assicurano la valenza degli accordi internazionali e la creazione in 18 mesi di nuove istituzioni repubblicane, attraverso elezioni democratiche e trasparenti.
Le reazioni della comunità internazionale
Francia e Stati Uniti hanno espresso sostegno al programma di transizione. Parigi, ex Paese colonialista del Ciad, ha auspicato un rapido ritorno al potere civile e ha lamentato di aver perduto "un amico coraggioso". Cordoglio e vicinanza sono stati espressi anche dai leader del Paesi africani confinanti. Nonostante le critiche al suo governo, le Nazioni occidentali hanno guardato con favore al fatto che l'esercito di Deby sia diventato un attore chiave nella lotta contro Boko Haram nella regione del Lago Ciad e contro gli estremisti islamici nel Sahel. Il Ciad ospita la base dell'operazione militare francese Barkhane e fornisce truppe fondamentali alla G5 Sahel Joint Force, un'alleanza con Mali, Burkina Faso, Niger e Mauritania per combattere il crescente estremismo nel Sahel.
Ivardi (Nigrizia): i ribelli hanno approfittato di clima teso
“Questo assassinio va letto nel contesto di tensione in cui si sono svolte le elezioni dell’11 aprile, dove i più grandi oppositori di Deby si sono ritirati e hanno invitato a boicottare le urne”. Questa l’analisi esposta a VaticanNews da padre Filippo Ivardi, missionario comboniano per dieci anni in Ciad e direttore della Rivista Nigrizia. “Tutto questo ha chiuso il dialogo sulle sfide del Paese – aggiunge-, basta pensare che il Ciad è al 187 posto su 189 nella scala dell’indice sullo sviluppo umano. La popolazione è stanca anche perché l’estrazione del petrolio non ha portato il progresso che si pensava. Di questo contesto così teso hanno approfittato i ribelli del Fact che sono sostenuti dall’esterno”. Dobbiamo sperare che prevalga la concordia, tutti i leader dell’opposizione in questo momento stanno chiedendo l’apertura di un dialogo nazionale”.
La gestione etnica del potere impoverisce il Paese
Il direttore di Nigrizia ricorda poi che il Ciad è un mosaico di etnie con oltre 200 gruppi e una popolazione che si riconosce di più nell’appartenenza etnica, quindi “è un Paese che fa fatica a dialogare e che non è attrezzato per un processo di tipo democratico”. Ivardi riferisce anche che, per quanto riguarda le risorse, è ricco di petrolio al sud e di uranio e oro al nord. Fa gola anche la sua posizione strategica nel centro-nord dell’Africa. Infine il missionario comboniano sottolinea che la Chiesa locale è una voce importate che viene ascoltata e che in questi ultimi tempi ha sostenuto il progetto delle cosiddetta “coabitazione pacifica” promosso dal governo. Gli otto vescovi ciadiani sono riuniti nella loro assise annuale e “ci si aspetta una dichiarazione che inviti alla concordia nazionale e che metta l’accento sulla fine di una concezione del potere di tipo etnico e patrimoniale, che porta all’accaparramento delle risorse da parte di gruppi di potere ristretti”.
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