Emofilia, ritardi nelle diagnosi durante la pandemia
Eliana Astorri – Città del Vaticano
Colpisce una persona ogni 10mila nel caso di emofilia di tipo A, ogni 30mila per quanto riguarda l’emofilia di tipo B. Provoca sanguinamenti all’interno delle articolazioni che, se non repentinamente trattati, causano artropatia cronica e disabilità. Riunire la comunità globale dei disturbi emorragici è l’impegno a cui richiamano le Nazioni Unite che mostrano preoccupazione per l’impatto della pandemia sui malati. “Il mondo è cambiato molto nell'ultimo anno, ma – si legge sul loro sito - una cosa non è cambiata: ci siamo ancora dentro insieme”. In Italia, il ministro della Salute, Roberto Speranza, celebrando la Giornata lo scorso 15 aprile, ha inviato un messaggio nel quale ricorda che è “prioritario concentrare tutte le energie nel rafforzamento della medicina territoriale, della telemedicina e della teleassistenza per garantire il pieno godimento del diritto alla salute da parte di tutti”.
Il professor Raimondo De Cristofaro, Direttore dell’Unità Operativa Semplice Area Malattie Emorragiche e Trombotiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ci spiega come si manifesta la patologia e quali sono i trattamenti:
R. - L'emofilia è una malattia congenita di tipo emorragico causata dalla carenza, dovuta a mutazioni genetiche, o del fattore 8°, l’emofilia A, o del fattore 9° della coagulazione, l’emofilia B, e molto più raramente il fattore 11, l'emofilia C. Ovviamente la più frequente è proprio l'emofilia A, la carenza del fattore 8°. Si manifesta generalmente, quando non si sa di avere la patologia, quando il bambino affetto da tale patologia comincia ad avere delle emorragie di tipo particolare, soprattutto di tipo articolare e muscolare quando ovviamente comincia a camminare, comincia a gattonare e quindi si espone ai primi traumatismi collegati alla deambulazione.
Oltre le cure, professore, come può fare il paziente per migliorare la propria qualità di vita?
R. - Sicuramente quando il paziente segue il trattamento soprattutto di profilassi che è il trattamento dotato di un maggior potere curativo nei confronti di questi pazienti e, cioè, la somministrazione costante nel corso della settimana dei fattori carenti. Il modo migliore per affrontare tale patologia è quella di svolgere, ad esempio, una normale attività fisica proprio per mantenere un tono muscolare importante che protegge le articolazioni che sono ovviamente, come dicevo precedentemente, il bersaglio principale delle emorragie. Emorragie che, purtroppo, hanno causato in passato, quando non avevamo a disposizione tutte queste opportunità terapeutiche, delle gravi artropatie nei pazienti emofilici determinando delle gravi alterazioni, ad esempio nella mobilità articolare e quindi nella corretta deambulazione del paziente causando zoppie, di cui ancora oggi vediamo purtroppo i frutti avvelenati nei pazienti, ovviamente più anziani.
Quanto ha inciso la pandemia sulle prime visite o sulle visite di controllo di questi pazienti, nel vostro centro? C'è stato un rallentamento? Le persone possono aver avuto paura di recarsi in ospedale….
R. - Sì, questa è una giusta considerazione. Noi abbiamo ovviamente provveduto, nei casi nei quali il paziente non lamentava delle complicanze, a rinnovare i piani terapeutici per i loro farmaci per via telematica, ma purtroppo abbiamo dovuto constatare anche un minore accesso dei pazienti per la paura di andare incontro ad infezioni in ambito ospedaliero, quindi, c'è stato un qualche rallentamento nell'assistenza diretta di questi pazienti, soprattutto laddove era necessario effettuare dei controlli ematici o con esami strumentali, come ad esempio le ecografie articolari. Questo, in larga parte, è dovuto un po’ anche all'affollamento del Pronto Soccorso e al relativo timore dei pazienti, appunto, di potersi infettare in tali situazioni.
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