In Myanmar situazione ancora ad alta tensione
Elvira Ragosta – Città del vaticano
Continuano le proteste in Myanmar, dove i manifestanti sono scesi in piazza anche lunedì contro il regime militare che ha preso il potere con un colpo di stato lo scorso 1° febbraio. Cortei sono continuati in diverse città, mentre le stime parlano di 740 persone rimaste uccise nel corso delle manifestazioni e di circa 3.500 arresti, mentre per le Nazioni Unite sono oltre 250mila gli sfollati. Limitati anche i mezzi di comunicazione, con tagli notturni di internet per 70 giorni e un calo della copertura mobile, tagliando di fatto l'accesso alle informazioni. Intanto, Aung San Suu Kyi, la leader eletta, arrestata il giorno del golpe e ai domiciliari nella capitale, non ha ancora potuto incontrare il suo team di avvocati e la sua udienza è stata rinviata al 10 maggio prossimo, secondo l'avvocato Min Min Soe. “La situazione nel Paese resta tesa, i militari non hanno nessuna intenzione di cedere il potere e le proteste vanno avanti. Il popolo non ha ancora perso la speranza in un cambiamento” dice a Vatican News Axel Berkofsky, professore di Storia dell’Asia all’Università di Pavia e analista dell’Istituto di politica internazionale (Ispi).
Il vertice Asean della scorsa settimana
Riuniti a Giacarta sabato scorso, i rappresentanti dei 10 Stati membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico, hanno discusso della crisi in Myanmar nel corso di un summit cui ha preso parte anche il capo dell'esercito birmano, il generale Min Aung Hlaing. Cessazione immediata della violenza, dialogo tra tutte le parti interessate, mediazione di un inviato Asean nel processo di dialogo, fornitura di aiuti umanitari e una visita in Myanmar dell’inviato speciale per incontrare le parti: sono i 5 punti su cui il summit ha trovato il consenso. Il professor Berkofsky giudica positivamente la richiesta dell’organizzazione regionale di porre fine alla violenza, “ma – ricorda – l’Asean non ha il potere o l’autorità di impedire a un suo Stato membro di fare o meno qualcosa, si tratta di una proposta”.
Il ruolo dei gruppi etnici nella protesta
Intanto, si stima che circa un terzo del territorio del Paese, per lo più nelle regioni di confine, sia controllato da una miriade di gruppi ribelli. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono intensificati gli scontri tra esercito e ribelli nella regione del Karen e oltre 24.000 civili sono stati costretti a lasciare i loro villaggi. Di questi circa 2.000 hanno attraversato il fiume per cercare rifugio in Thailandia. Nelle ultime ore il gruppo Karen National Union (Knu), che ha più volte condannato il colpo di Stato, ha assaltato e dato alle fiamme una base militare nella zona orientale al confine con la Thailandia.
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