L'addio a Moro e Impastato. Don Ciotti: "Cristiani siano per il cambiamento"
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Una delle pagine più tristi della storia repubblicana italiana fu scritta 43 anni fa, in due luoghi distanti quasi mille chilometri, separati anche dal mare. Il 9 maggio 1978 nel bagagliaio di una Renault 4, in Via Caetani a Roma, venne rinvenuto il corpo senza vita di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e già presidente del Consiglio dei ministri. Lo stesso giorno fu ucciso il giornalista Peppino Impastato, noto per la sua attività contro Cosa Nostra. Il corpo fu ritrovato in un casolare a Cinisi, nei pressi di Palermo.
Il Giorno della memoria
In ricordo di quanto accaduto nel 1978, la Repubblica italiana con la Legge 4 maggio 2007, nr. 56 riconosce il giorno 9 maggio quale Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, interno ed internazionale, e delle stragi di tale matrice. La giornata è stata istituita per ricordare e tributare il riconoscimento del Paese alle vittime, nonché il sostegno morale e la vicinanza umana alle loro famiglie.
Paolo VI: “La tragedia soffoca la nostra voce”
Il 13 maggio 1978 nella basilica di San Giovanni in Laterano, l’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti, officia i funerali di Aldop Moro alla presenza di Papa Paolo VI, che al termine della celebrazione, stanco e sofferente, in un’intensa preghiera, scritta di suo pugno, si rivolge direttamente a Dio per un uomo al quale era unito da profonda amicizia:
Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido, il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!
Don Ciotti: “Cambiamento, non adattamento”
Raggiungiamo don Luigi Ciotti telefonicamente, poco prima che decolli per Agrigento, dove tra poche ore sarà beatificato Rosario Angelo Livatino, il magistrato ucciso dalla mafia 31 anni fa. Il presidente di Libera e tra i simboli della lotta contro le mafie, ribadisce nell’intervista a Vatican News l’importanza di questa giornata. “Loro sono morti perché forse noi non siamo stati abbastanza vivi, quindi dobbiamo essere più vivi, più attenti e responsabili”, esordisce il sacerdote. “Non possiamo essere cittadini ad intermittenza, né cristiani che dicono ‘Signore, Signore’ senza sporcarsi le mani. Dobbiamo - sottolinea - dare il nostro contributo per il cambiamento, non per l’adattamento. Abbiamo questa responsabilità, la memoria è viva per essere più responsabili noi, più cristiani noi”.
Il ricordo del 9 maggio 1978
“Un giorno, quel 9 maggio, che ha segnato la nostra vita, drammatico. Esempio di una violenza criminale che ha spazzato via la vita di molte persone, pagine che non hanno avuto chiarezza, pezzi di verità che non si conoscono. Zone d’ombra. Dobbiamo continuare a chiedere che si faccia verità, serve, ne abbiamo bisogno per costruire giustizia”, afferma don Ciotti. Quindi il ricordo delle due vittime: “Aldo Moro fu ucciso perché uomo integro nell’impegno della politica, intesa come servizio per il bene di tutti. Uomo coraggioso, come lo era anche Peppino Impastato. Ragazzo impegnato, che testimoniava con la radio la denuncia della presenza mafiosa. Disturbava con il suo alzare la voce, quando tanti in quel periodo sceglievano comodi silenzi”. “Il 9 maggio - aggiunge - è anche la Giornata dell’Europa, ed oggi più che mai dobbiamo lavorare per un nuovo umanesimo che metta al centro la persona umana, l’unità della diversità come sognavano i padri fondatori”.
Le parole di San Giovanni Paolo II
C’è un altro 9 maggio che don Ciotti vuole ricordare, tornando indietro di tre decenni, al 1993. “Giovanni Paolo II, oggi santo, lasciò un segno indelebile nella Valle dei Templi scagliandosi con parole forti, chiare contro la mafia. Parole arrivate dopo aver incontrato i genitori di Livatino, prima di celebrare l’Eucaristia. Quell’incontro – ricorda – lo aveva profondamente scosso, e dopo la Messa, mentre stava andando via, tornò indietro ed a braccio disse quelle parole forti. Un invito ai mafiosi a cambiare vita, a convertirsi”.
Livatino e quella sigla nei suoi diari
Don Luigi Ciotti sarà dunque ad Agrigento per la beatificazione di Rosario Livatino. Come si appresta a vivere questa memorabile giornata? “Con riconoscenza e gratitudine. Livatino - sottolinea - sarà beato perché ucciso in odium fidei. Per disprezzo verso la sua fede cristiana, intransigente e pura che i mafiosi videro come ostacolo insormontabile a corromperlo. Lui era innamorato della vita, non era un uomo dalle grandi certezze, ma piuttosto dalle grandi e coraggiose domande, quelle profonde e feconde. Premessa del suo agire, si interrogava senza sconti, anche personalmente”. Il presidente di Libera ne fa un ritratto preciso, commovente. “Il suo aderire al Vangelo è stato fondamentale, l’ha incarnato nelle sue scelte di vita e con altrettanta sincerità ha aderito alla legge, intesa come mezzo per il fine della giustizia. Responsabile verso le leggi e prima ancora verso le persone. Enorme era in lui il senso di responsabilità, le sue bussole erano la Costituzione ed il Vangelo. Gli amici, i colleghi ci hanno trasmesso anche la sua grande umiltà e trasparenza, virtù cristiane fondamentali. Scriveva nel suo diario che nessun uomo è luce assoluta ed era anche trasparente perché non aveva nulla da nascondere. Diceva che ogni magistrato non deve solo essere, ma anche apparire indipendente. Ho visto - conclude - i suoi diari, metteva la sua vita nelle mani di Dio. Ricorreva spesso la sigla “STD”, sub tutela dei. Sotto la tutela di Dio. Questo era Rosario Livatino”.
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