Monsignor Tardelli: il caso di Luana porti ad un cambiamento di mentalità
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Un’altra morte sul lavoro, oggi, dopo quella di due giorni fa della giovane Luana D’Orazio, la 22enne risucchiata da un rullo in una fabbrica tessile in provincia di Prato. L’ennesima vittima è un operaio di 39 anni, rimasto schiacciato da una fresa in un’azienda metalmeccanica di Busto Arstizio, in provincia di Varese. Per la sua morte, la procura ha aperto un'indagine per omicidio colposo a carico di ignoti. Per l’incidente alla giovane Luana, invece, di cui oggi si è svolta l’autopsia, sono state indagate due persone, la titolare dell’azienda e l’addetto alla manutenzione del macchinario che ha ucciso la ragazza. L’assenza di controlli e di sicurezza sono quasi sempre all’origine di queste tragedie, anche perché gli investimenti di questo tipo sul lavoro vengono spesso considerati solo un costo; invece “la sicurezza sul lavoro rende migliore il prodotto”, spiega a Vatican News il vescovo di Pistoia, monsignor Fausto Tardelli, che lancia l’allarme sull’”indignazione del momento, che però non porta poi alla prevenzione”.
Monsignor Tardelli ieri, ha incontrato la famiglia di Luana, mamma Emma, babbo Francesco, il fratello Luca ed il piccolo Alessio, di soli cinque anni, il figlioletto della giovane, nella loro casa alla periferia di Pistoia, dove il presule si è recato per portare conforto:
R. – Ieri pomeriggio sono andato a trovare la famiglia, a portare la vicinanza della Chiesa, a pregare insieme. Ho trovato una famiglia veramente animata dalla fede. La fede li sostiene in questo momento, nel dolore, anche nella rabbia e nel dramma, però, ecco, c’è questa luce di fede che rischiara le tenebre di questo momento. Ed è stato un momento anche bello da questo punto di vista, mi pare che sia una famiglia forte, che merita anche tutta l'attenzione da parte nostra, da parte della società, della Chiesa, e sono sicuro anche che porteranno avanti il compito, certamente particolare e speciale, di crescere questo bambino di 5 anni che è rimasto con loro (il figlio di Luana ndr). Ho fatto una visita, mi sembrava doveroso, però sono stato, in qualche modo, anche io confortato dal modo con cui queste persone affrontano questo dramma dolorosissimo. Tra l'altro, il fratello di Luana è un disabile, a cui lei era molto legata. Il giovane viene seguito dalla famiglia con grande amore, con grande disponibilità.
Lei, appena saputo della tragedia, ha detto: “Nel 2021 non si può morire così sul posto di lavoro, è un dramma che ci deve inquietare”. Le sue parole fanno capire come oggi sia così terribile e tragico il fatto che il diritto al lavoro possa trasformarsi in morte …
R. Esatto, è esattamente quello che ho detto. Tra l’altro mi sono trovato a celebrare l’eucaristia nel giorno del dramma, proprio lì, nel comune (Montemurlo ndr). Nella parrocchia (Sacro Cuore di Gesù nrd) si celebrava la festa della Santa Croce e ribadisco ciò che ho detto lì: non è possibile! Siamo una società evoluta, abbiamo strumenti a disposizione di ogni genere, non è possibile che si muoia ancora in un ambiente di lavoro, come succedeva 30, 40, 50 anni fa! È assurdo! È veramente assurdo, vuol dire che qualcosa evidentemente non funziona, perché avremmo tutte le possibilità in questo momento per risolvere questo problema, se ci fosse davvero un impegno da parte di tutti. Ecco, per questo ho detto quelle cose.
Eccellenza, lei ha anche sottolineato come non si abbia l'intenzione di fare processi a nessuno, però qualcuno dovrà prendersi la responsabilità di quanto accaduto e di tutte le volte che accadono queste tragedie. Le responsabilità dove stanno?
R. – Intanto, io credo, appunto, e l’ho detto, che bisogna assumersi delle responsabilità e questo bisogna farlo tutti. La prima cosa è una mentalità che bisogna acquisire, una mentalità volta alla cura dell'altro, che si fa attenta all'altro. Questa è proprio una questione culturale, di mentalità, che ci deve riguardare tutti e che questa pandemia, tra l’altro, evidenzia. Cioè, dobbiamo prenderci cura l'uno dell'altro, questa è la mentalità fondamentale. Poi, è chiaro, ci vogliono le leggi, ma non è che manchino le leggi, possiamo forse perfezionarle, ma occorre soprattutto vigilare che si osservino le leggi, perché se non si controlla il fatto che vengano applicate, allora è tutto inutile. Come pure, ovviamente, c'è anche una responsabilità della giustizia, nel senso che bisogna che celermente si acquisiscano le responsabilità e si punisca colui o coloro che vanno puniti. Però, certamente, la prima responsabilità è un po' di tutti noi: la mentalità che dobbiamo acquisire è quella di preoccuparci dell’altro, della cura. Questa attenzione all'altro, lo vediamo proprio in questi giorni, in questi tempi di pandemia, si risolve poi in un vantaggio per tutti, diventa un bene comune di cui tutti godiamo davvero. E poi, ripeto, ci sono le responsabilità. Ovviamente di chi fa le leggi, di chi deve farle osservare e di chi deve punire colui che è da punire, al di là della responsabilità dei padroni, degli imprenditori. Io in questo non voglio entrarci, perché c'è la magistratura che sta facendo indagini e farà il percorso che deve fare.
Mi vorrei ricollegare a quanto ci ha detto lei, cioè al fatto che dobbiamo sentirci tutti coinvolti da quello che accade. La morte di Luana ha avuto mediaticamente molto risalto, ma le morti sul lavoro sono all'ordine del giorno, eppure c’è la distrazione. Come mai siamo distratti?
R. – Purtroppo, poco tempo fa, si è verificato un altro episodio di questo genere, sempre in questa zona, sempre in un'azienda tessile, che ha visto la morte di un altro giovane di 22- 23 anni. Ci sono stati altri episodi che veramente ci danno dolore, ci fanno rabbia, ci producono un malessere diffuso. Io credo che, alla fine, siamo una società che si distrae facilmente, una società che si basa molto sulle emozioni del momento e che fa fatica a tradurre in responsabilità quotidiane e concrete le cose che, magari, in certi momenti, vengono pure percepite. Diciamo che siamo una società tendenzialmente distratta e quindi, evidentemente, dopo la fiammata dell'emozione, facilmente si corre da un'altra parte. Questo è un problema di una società molto distratta e incline a non riflettere, a non pensare, in modo concreto, sulla realtà.
Praticamente ci sta dicendo che l'indignazione arriva, ma sempre troppo tardi…
R. – Questo caso ha un po’ scosso l’Italia, perché si tratta di una giovane donna, una madre che aveva già lottato, avendo un figlio da minorenne, per far vivere questo figliolo, per crescerlo. Quindi, certamente, colpisce, però, nei prossimi giorni, che facciamo? Chi fa le leggi, ci pensa? Chi deve vigilare, ci pensa? Se non accade questo è chiaro che l'indignazione del momento non è capace a creare quella prevenzione che è necessaria. Occorrono una sensibilità e una mentalità dove, appunto, la sicurezza del lavoro non è un peso per il lavoro, non è un handicap per la produzione, ma è l'aumento di qualità della produzione. La sicurezza del lavoro rende migliore il prodotto.
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