Immigrazione: in ottomila a Ceuta. La Chiesa spagnola: non si speculi
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Situazione allarmante a Ceuta, enclave spagnola in Marocco, per l'arrivo in massa di almeno 8.000 persone, tra cui donne e bambini, in due giorni. La Spagna ha schierato l'esercito e ha già respinto indietro, oltre confine, la metà dei migranti. Il premier spagnolo Sanchez ieri sera ha raggiunto Ceuta e anche Melilla, l’altra località dell'enclave, accolto da fischi e applausi, promettendo ai suoi cittadini di "ristabilire l'ordine con la massima celerità". E si aggrava la crisi diplomatica già in corso tra Madrid e Rabat, per il sospetto che le guardie di frontiera marocchine abbiano lasciato passare i migranti come rappresaglia per l'ospitalita' concessa da Madrid a Brahim Ghali, capo dei separatisti del Fronte Polisario, che contendono a Rabat il Sahara occidentale.
I vescovi spagnoli: non strumentalizzare la disperazione
La Chiesa spagnola esprime preoccupazione: "la disperazione e l'impoverimento di molte famiglie e minori non può essere usata da nessuno Stato per strumentalizzare a fini politici le legittime aspirazioni di queste persone", hanno dichiarato i vescovi in una nota diffusa nel pomeriggio di ieri, appellandosi al "valore supremo della vita e della dignità umana". L'episcopato ribadisce la sua solidarietà con le diocesi di Cadice, Ceuta e Melilla e Malaga, delle quali riconoscono la volontà di prestare attenzione e accoglienza verso i migranti, così come le iniziative delle due città autonome per custodire i diritti dei migranti, specialmente dei minori. L’invito a tutti è "a mantenere la coesistenza pacifica e ad esercitare la migliore politica per servire il bene comune".
Ennesima tragedia in mare
"L'Unione Europea è solidale con Ceuta e la Spagna. Abbiamo bisogno di soluzioni europee comuni per gestire le migrazioni. Possiamo raggiungere questo obiettivo se si arriva ad un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione", ha scritto ieri in un tweet la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Intanto un nuovo naufragio è stato registrato ieri al largo della Tunisia: 50 persone sono date ancora per disperse, mentre 33, tutti originari del Bangladesh, sono stati tratti in salvo. Il barcone era partito domenica da Zwara, in Libia. I soccorritori tunisini hanno portato i superstiti al porto di Zarzis, circa 100 chilometri a nord-ovest di Zwara.
Donatella Parisi: sbagliato parlare di emergenza
Si torna a parlare, dunque, in questi giorni di immigraziione riguardo alla situazione a Ceuta, ma anche in Italia, a Lampedusa, sono ripresi gli sbarchi. E' sempre grave poi la condizione dei migranti nelle isole greche, per non parlare della rotta balcanica e di ciò che avviene periodicamente nel mar Mediterraneo. L'impressione però, dal punto di vista politico, è quella di trovarsi ogni volta allo stesso punto, alla ricerca di soluzioni di fatto sempre rimandate. Lo conferma ai nostri microfoni Donatella Parisi, responsabile Comunicazione del Centro Astalli che, per prima cosa, contesta l'uso della parola "emergenza" nei confronti di un fenomeno, quello migratorio, con cui l'Europa ha a che fare ormai da almeno 20 anni:
R. - Siamo sempre allo stesso punto e forse continuare a parlare di emergenza indebolisce molto i ragionamenti e inficia le soluzioni che invece andrebbero prese: l'emergenza non può durare 20 anni, come invece accade alle persone che cercano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l'Europa. Continuare a farlo ci mette in una posizione di allarme continuo, di paura e in una logica di difesa da un presunto nemico che sono i migranti. Qui l'unica vera emergenza è che il mondo, purtroppo, deve gestire moltissime guerre e crisi umanitarie da cui scappano persone in cerca di salvezza. L'emergenza riguarda le persone che cercano di arrivare, non i Paesi che si chiudono sempre di più per non farli arrivare. Questa precisazione non è solo linguistica e formale, ma sostanziale. Basta, dunque, parlare di emergenza perché solo se si smette di parlare di emergenza si possono trovare soluzioni strutturali di lungo periodo, ma soprattutto cambiare la prospettiva e rimettere al centro i diritti e la dignità delle persone prima che la nostra "tranquillità".
Nelle acque del Mediterraneo c'è stato un nuovo naufragio proprio ieri al largo della Tunisia. Anche per quanto riguarda quest'area non si è presa nessuna decisione alla fine, a livello europeo...
R. - Le decisioni che si prendono a livello europeo e anche quelle che arrivano dai singoli Stati sono gli accordi, bilaterali o europei, con gli Stati per esternalizzare le frontiere. Il problema principale da risolvere è assumersi la responsabilità del fallimento di politiche che hanno investito solo nell'esternalizzazione delle frontiere, cioè il fare accordi economici, anche molto onerosi, con Paesi terzi non sicuri - come nel caso della Libia, ma anche la Turchia - e pagando governi spesso anche estremamente Instabili, per far sì che siano loro a bloccare i flussi migratori verso l'Europa. Ora questo mette l'Europa in una posizione estremamente debole perché sono di fatto accordi che permettono il ricatto, ed è quello che stiamo vedendo adesso. A Ceuta in questi giorni arrivano migliaia di migranti perché si sono aperte le maglie del Marocco, che appunto ha deciso che possono andare, poi magari ci sarà un altro accordo e si fermano di nuovo i flussi, e questo accade in Libia, accade in Turchia con i siriani che sono da anni bloccati nelle isole greche. Ma questa non è la soluzione perché mette in un limbo migliaia di persone che invece potrebbero arrivare legalmente in Europa perché ne hanno diritto, ricordiamo che molti scappano da crisi umanitarie e da situazioni di grande instabilità come appunto la Siria, o dall'area del Sahel e dell'Eritrea, quindi avrebbero diritto alla protezione. Ma anche per le persone che invece aspirano legittimamente a cercare una vita più dignitosa in Europa, non ci sono vie legali di ingresso se non il traffico di essere umani, quindi poi contiamo i morti ogni giorno. Però anche quando ci troviamo a contare i morti, come ieri 50 persone disperse nel Mediterraneo, l'emergenza è sempre la nostra, è sempre l'invasione che dobbiamo subire e mai la condizione di estrema vulnerabilità delle persone che muoiono. Neanche dire che ci sono bambini tra le vittime scuote le coscienze e spinge a prendere provvedimenti strutturali che imprimano un cambiamento a questa situazione che è inaccettabile e vergognosa come l'ha definita Papa Francesco.
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