Apartheid: dal sacrificio degli studenti la libertà per tutti
Marina Tomarro - Città del Vaticano
L’afrikaans era considerata come il simbolo della cultura dell’oppressore, per questo gli studenti avevano deciso di opporsi all’uso di questo idioma e di boicottare le lezioni. Questa scelta venne appoggiata anche dal South African Students’ Movement (SASM), che nel 1976 decise di organizzare una manifestazione per il 16 giugno: i giovani avrebbero dovuto confluire presso l’Orlando Stadium di Soweto dove si sarebbe tenuto un raduno. Questo nuovo fermento tra gli studenti nasceva dopo che negli anni sessanta era stato represso l’African National Congress, il più importante partito politico sudafricano, da cui nel 1944 era nata la lega giovanile e che vedeva tra i fondatori anche Nelson Mandela. Alla metà del decennio successivo, tuttavia, il successo di altre organizzazioni rivoluzionarie nei Paesi vicini alimentò nuove speranze per i neri che intendevano rovesciare la politica segregazionista del National Party, il partito degli afrikaner nazionalisti che a quell'epoca era al governo del Sudafrica.
Una marcia finita nel sangue
Erano oltre quindicimila gli studenti che parteciparono pacificamente a quella giornata, ma ad un certo punto lungo il percorso, un contingente di polizia lanciò gas lacrimogeni per dissuadere i giovani a proseguire. Questi, anziché arrestarsi, risposero lanciando pietre e le forze dell'ordine reagirono sparando alla folla. Quello che successe fu una tragedia enorme. Secondo le fonti ufficiali morirono 618 persone tra cui molti minorenni, come il tredicenne Zolile Hector Pieterson. Migliaia i feriti. Da quel momento iniziarono una serie di proteste in tutto il Paese. Dal mondo studentesco il dissenso si allargò a diversi settori produttivi, con una catena di scioperi da parte degli operai di molte fabbriche. Le richieste erano il rilascio dei detenuti politici, la totale abolizione dell’educazione bantu e l’eliminazione di ogni legge legata al sistema di apartheid.
La reazione della Comunità Internazionale
Le immagini degli scontri fecero il giro del mondo, sensibilizzando l'opinione pubblica internazionale sul problema dell'apartheid. Il governo sudafricano subì una serie di condanne internazionali, incluse nuove sanzioni da parte delle Nazioni Unite che avevano già condannato ripetutamente la politica del National Party. L'economia sudafricana si trovò a dover fronteggiare un embargo su vasta scala. Le pressioni internazionali per fermare l’apartheid giunsero anche da altri settori, come quello sportivo: il Sudafrica venne escluso dalle Olimpiadi nel 1980, dopo che già qualche anno prima, nel 1976, i Paesi africani boicottarono le Olimpiadi in segno di protesta.
Il ruolo chiave di Mandela
Nelson Mandela ha rappresentato il simbolo della lotta contro l’apartheid. Guida per anni del movimento anti-segregazionista, fu ripetutamente imprigionato a partire dal 1952 e nel 1964 venne condannato all'ergastolo. Nel 1984 fu promulgata una Costituzione che attribuì la rappresentanza parlamentare solo ai bianchi mentre ai neri non fu estesa tale possibilità. Nel 1990 fu eliminata la condanna nei riguardi dell’African National Congress, ed il presidente Frederick de Klerk liberò Nelson Mandela, il fautore della lotta contro l’apartheid. Nel 1993, proprio grazie all’intervento di Mandela, il Sudafrica gettò le prime basi per la democrazia. L’anno dopo Nelson Mandela fu eletto presidente del governo, che comprendeva al suo interno anche il Partito Nazionale. Mandela è stato il primo presidente nero in tutta la storia del continente sudafricano.
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