Burkina Faso, il vescovo di Dori: costernati per la violenza
Michele Raviart - Città del Vaticano
È salito ad almeno 160, tra cui venti bambini, il numero dei morti nell’attacco jihadista di venerdì notte al villaggio di Solhan, nel nordest del Burkina Faso, in quello che è l’episodio più grave dall’inizio delle violenze nel 2015. Per commemorare le vittime della strage, per le quali ieri Papa Francesco aveva pregato e manifestato la sua vicinanza “ai famigliari e all’intero popolo burkinabè che sta soffrendo molto a causa di questi ripetuti attacchi”, le autorità del Paese hanno decretato tre giorni di lutto nazionale a partire da ieri, mentre la Conferenza episcopale ha invitato le parrocchie a tenere un momento di preghiera per i caduti al termine delle celebrazioni per il Corpus Domini.
Il racconto di un sopravvissuto
La testimonianza di quelle ore è affidata alle parole di un testimone diretto, rifugiatosi nella vicina parrocchia di Sebba e riferita alla redazione francese di Vatican News da monsignor Laurent Dabirè, vescovo di Dori – la diocesi dove si trova il villaggio di Solhan – e presidente della Conferenza episcopale di Burkina Faso e Niger. “All’alba, intorno alle sei del mattino, degli uomini armati hanno invaso il villaggio. Prima hanno sparato in aria, poi sono passati casa per casa perché la gente stava ancora dormendo”, ha raccontato il presule. “Hanno subito delle vere e proprie esecuzioni”, ha spiegato, e poi gli assalitori hanno bruciato il mercato, le case, i negozi, automobili, camion e tutti gli altri mezzi di trasporto che si trovavano all’aperto.
Costernazione e impotenza
“C’è grande costernazione per questo massacro”, ha commentato il vescovo. E anche “un sentimento di impotenza”. “Vorremo fare qualcosa, ma cosa?”: si chiede. “Affrontiamo un nemico invisibile, sconosciuto e armato fino ai denti”, al quale si aggiunge il rischio di rappresaglie. In questo senso sono state di conforto le parole del Papa all’Angelus. “Non dobbiamo perdere la fiducia nella vita, dobbiamo mantenere la fede nella speranza, rimanere uniti per affrontare questa violenza che ci sta cadendo addosso, per esplorare tutte le soluzioni, compreso il dialogo. Questo è, credo, l'unico modo per uscirne un giorno”, ha ribadito.
Una delle zone più povere del mondo
“Il Paese è sotto choc”, confermano all’Agenzia Fides fonti della Nunziatura apostolica nel Paese. “Al momento le notizie sono ancora frammentarie”, sottolineano, e “non sappiamo il numero esatto delle vittime. Si parla di 160 morti ma potrebbero essere di più, né quale sia il gruppo che ha commesso il massacro”. Il nord del Burkina Faso, così come una larga parte del Mali e l’ovest del Niger, è una zona rurale tra le più povere del mondo ed è terreno fertile per molti gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda o allo Stato Islamico, spesso in lotta tra loro. L’esercito, poco numeroso e male armato, è spesso affiancato da milizie volontarie di autodifesa. Nella stessa zona, il 4 giugno sono morte altre 14 persone, mentre il 17 e il 28 maggio, 15 civili e un soldato sono stati uccisi in due assalti a un villaggio e ad una pattuglia nel nord-est del Paese.
Una sfida alle autorità locali
“In attesa di informazioni più accurate possiamo fare alcune considerazioni" continuano le fonti di Fides. "Da una prima valutazione le autorità del Paese sembrano ritenere che chi ha perpetrato il massacro abbia voluto affermare la sua capacità di controllare il territorio. L’esercito infatti ha organizzato dei gruppi di autodifesa dei villaggi dell’area. Con questi massacri i terroristi sembra che abbiano voluto rispondere a queste iniziative di difesa. In ogni caso questa area è strategica perché collega il Mali e il Niger, attraverso il Burkina Faso”.
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