L'Ucoii sui matrimoni forzati: atti tribali che non c'entrano con l'Islam
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
L’amore per i selfie, le sneakers e i jeans e quel suo essere una diciottenne che, nulla di strano, si ribella ai genitori. Ma per Saman Abbas, giovane pakistana dal 2016 in Italia, residente a Novellara, nella provincia di Reggio Emilia, quel "no" ha quasi sicuramente trascinato con sé una condanna a morte. Gli inquirenti, che la cercano da settimane sono convinti che la ragazza sia stata uccisa dalla famiglia, per quel suo rifiuto a un matrimonio combinato con un cugino in Pakistan. Un omicidio che coinvolge tutta la famiglia, dai genitori, ai fratelli, ai cugini, agli zii, e forse è proprio uno di questi ultimi l’esecutore materiale. Ora sono tutti scomparsi, volati in Pakistan, tranne il fratello minorenne, ancora in Italia e sotto la protezione della Procura dei minori, è lui che starebbe rivelando i retroscena della scomparsa. La storia di Saman, ancora senza finale, è solo l’ultima di molte altre, tutte tristemente uguali, perché segnate dalla ribellione a quella aberrazione che è il matrimonio forzato.
Una fatwa per rispetto della vita delle persone
La comunità islamica italiana respinge e condanna con forza questi comportamenti che sono lesivi della donna e in generale della vita delle persone e che non trovano alcuna giustificazione religiosa, di qui la decisione dell’Ucoii, in concerto con l’Associazione islamica degli Imam e delle Guide religiose, di emettere una fatwa contro i matrimoni combinati. “Come Ucoii – spiega il presidente Yassine Lafram – abbiamo voluto esprimerci in maniera netta, attraverso uno strumento religioso e di una certa rilevanza, cioè una fatwa. Non vogliamo lasciare margine ad ambiguità, questa fatwa arriva per dire no ai matrimoni forzati”. Con la decisione, assolutamente inedita, di emettere una fatwa, dunque l’Ucoii intende dimostrare l’impegno a “portare avanti la cultura del rispetto, della tutela e della sacralità della vita delle persone”. Intende, inoltre, esprimere in modo chiaro il punto di vista della religione rispetto a tali questioni. “La sparizione di Saman – spiega ancora Lafram – ci lascia molto preoccupati, al tempo stesso speranzosi. Anche se ormai c'è poco da sperare nel poterla ritrovare ancora viva. Non sappiamo cosa succederà nelle prossime ore, ma come Ucoii la nostra posizione è nettissima”.
La religione non giustifica atti tribali
La religione non potrà mai vincolare qualcuno a un comportamento, tantomeno intende farlo l’Ucoi che, con questa decisione non vuole certo sostituirsi alla giustizia che farà il suo corso. Si rende però necessario, secondo Lafram, sgomberare il campo dall’equivoco che “la religione in qualche modo possa giustificare comportamenti lesivi dei diritti delle persone”, ed eliminare anche l’idea di una possibile “commistione omertosa che per alcuni potrebbe esserci fra la religione islamica e questi atti tribali che nulla hanno a che vedere con la nostra fede religiosa”. Per l’Ucoii è dunque fondamentale ribadire il rifiuto di qualunque comportamento lesivo nei confronti delle donne: di qui la decisione di emettere una seconda fatwa, contro l’infibulazione, altro gravissimo atto contro le donne commesso in modo clandestino anche in Italia. “L’infibulazione femminile – conclude il presidente dell’Ucoii – è un atto barbaro che non deve assolutamente trovare spazio, né deve poter continuare ad attecchire nella nostra società”. L’Unione quindi porterà avanti questo lavoro culturale all’interno delle comunità esistenti in Italia che “oggi fanno fatica ad abbandonare magari alcune pratiche ma che non possono assolutamente trovare spazio nella nostra società.
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