Borsellino: la veglia e la messa in via D'Amelio a 29 anni dalla strage
Alessandra Zaffiro – Palermo
“L’agonia di Gesù al Getsemani. In qualche modo la dinamica del Getsemani è la dinamica che racchiude il segreto della vita. Una dinamica che vive Gesù ma che può servirci per leggere la vicenda di Paolo Borsellino – ha detto nell’omelia padre Francesco Cavallini, gesuita che collabora con la pastorale giovanile dell’Arcidiocesi di Palermo, che ha concelebrato la Messa con don Luigi Ciotti e don Mimmo Napoli della parrocchia del Don Orione. Gesù percepisce che rimanere fedele alla sua missione, rimanere fedele all’amore del Padre, rimanere fedele all’annuncio del vero volto di Dio, vuol dire andare incontro alla morte. E sperimenta la solitudine. Al Getsemani il Signore Gesù sperimenta la solitudine, tutti lo mollano, anche i più vicini, sperimenta il tradimento. Come non ricordare gli stati d’animo di Paolo Borsellino in quei giorni che vanno dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio: quel senso di solitudine, quel senso di tradimento, quel sentire che la morte è vicina. Lui sapeva che il tritolo per lui era arrivato a Palermo. Gesù vive questo momento con molta paura, con molta tristezza, era triste fino a sudare sangue. Nessuno è contento di morire, nessuna persona sana desidera la morte”.
“Nel Getsemani Gesù sceglie di rimanere fedele alla sua missione - ha proseguito padre Cavallini - in quel momento sperimenta tutta la fatica, tutta la sofferenza dell’andare incontro alla morte. Paolo Borsellino aveva la possibilità di salvarsi, gli avevano offerto una serie di incarichi per lasciare Palermo, smettere di indagare sulla mafia. Il magistrato decide di rimanere: sa che rimanere dov’è, vuole dire andare incontro alla morte. Paolo Borsellino fu liberato dalla paura della morte. La sintesi è la sua frase “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”: non è vero che non ha paura, ma la paura non condiziona le mie scelte. La consolazione senza causa è quella esperienza interiore che viene da Dio che sostiene quelli che in questo mondo cercano il bene, l’amore, costi quel che costi. Rimanere fedeli costi quel che costi. E Paolo vive tutto questo e per questo è un esempio”.
Don Ciotti: “la violenza non è solo quella delle armi, è anche quella culturale”
Il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, partecipa ogni anno alle iniziative per non dimenticare le vittime della strage di via D’Amelio.
“Ancora di più non dobbiamo dimenticarci che loro sono morti e noi dobbiamo essere più vivi, più responsabili, più attenti. Siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di una memoria viva che si deve concretizzare tutti i giorni in responsabilità e in impegno per evitare che diventi la retorica della memoria, che diventino celebrazioni, che diventino anche, a volte, delle passerelle. Loro sono morti e noi dobbiamo essere più vivi. Più vivi vuole dire batterci oggi più che mai, perché nel Paese emerge con estrema forza che si va verso la normalizzazione, complice che le mafie hanno nuove forme, c’è meno sangue, meno attentati, meno, apparentemente, violenza. Dimenticando che la violenza non è solo quella delle armi, degli esplosivi, ma la violenza è anche quella culturale, di un sistema. La violenza è fatta anche di superficialità, indifferenza, di delega. Noi siamo qui, perché loro possono vivere dentro le nostre scelte e i nostri impegni”.
Don Ciotti ricorda i momenti dopo la strage in via D’Amelio e la reazione della gente, ma mette in guardia dalla normalizzazione, cui si rischia di andare incontro oggi: “Io è ventinove anni che corro qui. Siamo venuti in quei giorni drammatici, in cui qui tutto era veramente sconvolto, dove avevamo trovato una scossa della gente. Sono passati 29 anni e si va verso questa normalizzazione. La normalizzazione è il pensare che il problema non sia più così grave come si dice: c’è anche chi, da un sondaggio che è stato fatto molto seriamente, comincia a negare l’importanza dei giochi criminali della mafia e della corruzione. E invece siamo ancora qui per saldare la memoria alla responsabilità e all’impegno. Per dire che le mafie e la corruzione sono dei parassiti che mangiano la società dal di dentro, che ci impoveriscono, che ci rendono più fragili e molto più deboli. Abbiam bisogno di impegnarci di più tutti per un cambiamento vero, non per adattamenti”.
Questa mattina l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice ha celebrato in cattedrale la messa in suffragio delle vittime della strage di via D’Amelio.
“Il racconto e la memoria viva di questo evento - ha detto nell’omelia monsignor Lorefice - dovrà servire come sostegno, forza per ungere i cuori e mettere insieme le forze, come invito a tutti, lungo lo scorrere degli anni, per non disperare, non arrendersi, non consegnarsi alla paura, né, tanto meno, cedere alle lusinghe dei nuovi faraoni. Ci è stato lasciato il segno dei martiri. Di questo segno facciamo memoria”.
“La famiglia mi ha dato la forza per andare avanti”
Antonio Vullo è l’unico agente di scorta del magistrato sopravvissuto all’eccidio: “L’emozione, il dolore è sempre presente. Sono 29 anni e ancora non abbiamo una verità, quel dolore rimane sempre forte. Quando vengo qui e sono da solo - racconta Antonio Vullo in via D’Amelio davanti all’Albero della Pace, un ulivo proveniente da Betlemme piantumato un anno dopo la strage nella voragine lasciata dall’esplosione del tritolo - trovo la mia pace, perché io in questo luogo ho perso un po’ della mia vita, ho perso dei fratelli, degli amici, delle persone veramente belle e soprattutto il giudice Paolo Borsellino, che era la persona giusta per potere dare quella svolta decisiva e contribuire a rendere libera la Sicilia e non solo la Sicilia”.
Con garbo, timidezza, quasi pudore, Antonio Vullo parla con tono pacato: nella sua voce c’è tutto il rispetto, il dolore che prova pensando a chi ha perso la vita 29 anni fa. Solo il pensiero degli affetti più cari lo ha aiutato ad andare avanti: “La forza la da’ soprattutto la famiglia, i miei figli. Mio figlio in quel periodo aveva sei mesi… Rimanere sopravvissuto e sapere che anche Claudio (Traina, uno degli agenti di scorta del giudice Borsellino che hanno perso la vita nella strage, ndr) aveva un bambino di sette mesi o Vito Schifani, che faceva parte della scorta del giudice Falcone, aveva un bambino degli stessi mesi di mio figlio, mi faceva sentire molto male. Non riuscivo neanche a prendere in braccio mio figlio, perché pensavo soprattutto ai figli dei colleghi che sono rimasti vittime”.
Quando sono assieme ai familiari dei miei colleghi vittime, il peso si sente maggiormente, anche se devo ringraziare loro che mi trattano come un fratello, come un figlio: addirittura Luciano, che è il fratello di Claudio Traina, e Tommaso Catalano, il fratello di Agostino, dicono sempre ‘abbiamo perso un fratello ma ne abbiamo acquisito uno’ in me, e questa è una emozione che mi fa sentire bene, anche se il peso di essere sopravvissuto purtroppo rimane e sarà difficile da potere portare via”.
La Commissione regionale Antimafia: sulla strage “non esiste ancora una verità storica (né una verità giudiziaria)”
Anno dopo anno resta il macigno della ricerca della verità sulla strage, non una verità qualsiasi. A quasi 30 anni dalla stagione delle stragi che hanno cambiato il volto dell’Italia, nella seconda relazione della Commissione regionale Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio presentata pochi giorni fa si legge: “non esiste ancora una verità storica (né una verità giudiziaria) in grado di ricostruire compiutamente autori, moventi, mandanti e contesto storico in cui avvennero quegli spaventosi attentati, senza precedenti nel continente europeo dalla fine della guerra”.
“Bisogna andare avanti perché noi tutti aspettiamo la verità - sostiene Antonio Vullo - La verità che ancora adesso non so se viene nascosta o non si riesce a trovare. Noi, sia i familiari che io, giriamo spesso le scuole, i luoghi dove vogliamo incontrare soprattutto i giovani, le nuove generazioni, perché siamo sicuri che le nuove generazioni potranno portare quello che il giudice Paolo Borsellino voleva per tutti noi, ‘Quel fresco profumo di libertà’ che tanto lui amava e tanto voleva donare al suo popolo. Noi facciamo di tutto per ricordare il sacrificio di queste persone e soprattutto rendere partecipi i giovani. La Scorta alla memoria - conclude l’agente sopravvissuto alla strage di via D’Amelio - è nata per fare conoscere la vera storia di questo magnifico albero. Un albero particolare che da’ un senso di vita. Toccare questi ramoscelli è come toccare gli amici, i fratelli che sono rimasti qui”.
La webcam collegata tutti i giorni all’Albero della Pace in via D’Amelio
In via D’Amelio, a luglio, l’ulivo proveniente da Betlemme è frondoso e carico di olive. I suoi rami accolgono rosari, bandiere, soprattutto immagini delle vittime e quelli che avrebbero potuto essere i loro pensieri. In uno si legge: ‘Ciao, sono Vincenzo. Sono un ragazzo di 22 anni. Sono un poliziotto, mestiere che amo. Amo la mia famiglia, amo tantissimo la mia ragazza e presto ci sposeremo. Amo le moto, le auto sportive. Insomma avrei voluto fare tantissime cose ma la mafia ha deciso al posto mio. Uccidendomi’.
Chiunque, da qualsiasi parte del mondo, può vedere tutti i giorni, 24 ore su 24, questo albero grazie a una webcam installata sul Monte Pellegrino, sotto il Castello Utveggio. Basta collegarsi al sito ‘viadamelio.it’.
“Gli stessi amici che hanno installato quella telecamera – spiega il fratello del giudice Borsellino, Salvatore – hanno avuto la bellissima idea di mettere questi faretti tricolori in maniera che dall’imbrunire fino al mattino questi ragazzi possono riposare abbracciati dalle luci della bandiera per la quale hanno sacrificato la loro vita”.
Appuntamento stasera alle 21 con l’inaugurazione delle luci tricolore sull’Albero della Pace, alla presenza del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.
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